L’intesa, che vedrebbe il potente modello Gemini di Google integrare Siri, rappresenta un’ammissione del ritardo accumulato da Apple nell’intelligenza artificiale, inserendosi in una complessa strategia che mira anche a sfidare il rivale sul suo terreno con un proprio motore di ricerca.

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Apple e Google sarebbero vicine a un accordo storico per integrare Gemini in Siri, mossa sorprendente che ammette il ritardo di Apple nell'IA. Ciò renderebbe Siri più intelligente. La strategia solleva però interrogativi su privacy e dipendenza, mentre Apple lavora a un proprio "motore di risposte" AI per sfidare Google in futuro.
Un’alleanza inaspettata nel mondo dell’intelligenza artificiale
Per comprendere la portata di questa decisione, è utile fare un passo indietro. Siri, introdotta nel 2011, è stata una delle prime assistenti vocali a raggiungere il grande pubblico, ma negli anni le sue capacità sono state superate da quelle di Alexa di Amazon e dell’Assistente Google.
Le risposte di Siri sono spesso percepite come rigide e limitate, incapaci di gestire conversazioni complesse o di comprendere il contesto come fanno i modelli di intelligenza artificiale generativa più recenti.
Un limite che, sotto certi aspetti, sembra non essere solo tecnologico, ma anche interattivo. Per un assistente virtuale, infatti, la qualità del dialogo è tutto, e una progettazione di interfacce e user experience mirata è ciò che necessita per trasformare una grande potenza di calcolo in un’esperienza davvero utile e piacevole per l’utente.
Il problema per Apple è che migliorare Siri richiede competenze e una potenza di calcolo che, evidentemente, i suoi laboratori non sono ancora riusciti a perfezionare al livello desiderato, o almeno non nei tempi richiesti dal mercato.
L’integrazione di Google Gemini potrebbe rappresentare una scorciatoia. Invece di attendere anni per sviluppare un modello linguistico proprietario in grado di competere con i migliori, Apple potrebbe “affittare” la tecnologia di Google per rendere Siri immediatamente più intelligente, colloquiale e utile.
Questo permetterebbe agli utenti di iPhone di avere un’esperienza all’altezza delle aspettative attuali, dove un assistente non si limita a impostare un timer o a leggere il meteo, ma può aiutare a scrivere email, riassumere articoli o pianificare un viaggio in modo articolato.
La mossa, però, solleva interrogativi profondi sulla strategia a lungo termine di Apple.
Affidarsi a un concorrente per una funzione così centrale non rischia di creare una dipendenza tecnologica?
E che ne è della tanto sbandierata attenzione alla privacy, se le richieste degli utenti di Siri dovessero essere elaborate dai server di Google, un’azienda il cui modello di business si basa proprio sull’analisi dei dati?
La scelta di Google non è casuale, e non è nemmeno l’unica opzione che Apple ha considerato. L’azienda ha esplorato anche possibili collaborazioni con altri leader del settore come OpenAI e Anthropic.
La preferenza per Google, tuttavia, potrebbe avere radici che vanno oltre la pura valutazione tecnologica, affondando in una relazione finanziaria già molto stretta e consolidata.
Ma mentre Apple sembra pronta a delegare una parte del futuro di Siri, nei suoi laboratori più segreti si sta lavorando a un progetto altrettanto ambizioso, che va in una direzione completamente opposta: quella di sfidare Google sul suo stesso terreno.
La risposta si chiama “World Knowledge Answers”
Mentre la potenziale integrazione di Gemini in Siri ha catturato l’attenzione dei media, un altro progetto interno ad Apple potrebbe rivelarsi ancora più significativo nel lungo periodo.
Il nome in codice, come riporta Bloomberg, sarebbe “World Knowledge Answers” e, secondo le indiscrezioni, si tratterebbe del tentativo più serio mai fatto da Apple di creare un proprio motore di ricerca, o meglio, un motore di risposte basato sull’intelligenza artificiale.
L’obiettivo non sarebbe quello di creare un clone di Google, con la sua classica lista di link blu, ma di fornire risposte dirette, contestualizzate e multimodali, combinando testo, immagini, video e informazioni locali.
Questo strumento non vivrebbe isolato, ma sarebbe profondamente integrato nell’ecosistema Apple. Potrebbe diventare il motore di Spotlight, la funzione di ricerca universale su iPhone e Mac, e potenziare le capacità di ricerca del browser Safari, ma soprattutto potrebbe essere il vero, futuro cervello di Siri.
La strategia che emerge è quindi molto più sofisticata di una semplice ammissione di debolezza.
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Apple potrebbe usare la tecnologia di Google come una soluzione ponte, un modo per rendere Siri competitiva nel breve termine, mentre parallelamente costruisce l’infrastruttura per sostituirla con una tecnologia proprietaria, progettata per funzionare in perfetta simbiosi con i suoi dispositivi e, soprattutto, con i suoi principi sulla privacy.
Questa doppia strategia, però, comporta dei rischi.
Da un lato, Apple si troverebbe a collaborare strettamente con l’azienda che, dall’altro, intende attaccare nel suo mercato più redditizio. È un gioco di equilibri delicato, dove i confini tra alleato e avversario diventano sfumati.
Inoltre, sviluppare un motore di ricerca e un modello di intelligenza artificiale competitivi da zero è un’impresa colossale, che ha visto fallire anche giganti come Microsoft in passato.
Il successo di “World Knowledge Answers” non è affatto scontato, e i tempi di sviluppo potrebbero essere lunghi. Il fatto stesso che il lancio della nuova versione di Siri sia stato posticipato al 2026 suggerisce che la strada è ancora in salita e che le sfide interne non mancano.
Tra miliardi di dollari e ritardi strategici
Per capire fino in fondo la logica di questa apparente contraddizione, è essenziale considerare il contesto economico che lega Apple e Google. Da anni, Google paga ad Apple una cifra stimata tra i 18 e i 20 miliardi di dollari all’anno per essere il motore di ricerca predefinito su Safari.
Si tratta di un accordo enormemente vantaggioso per entrambe le aziende: Google si assicura il traffico di centinaia di milioni di utenti iPhone, mentre Apple incassa una somma enorme senza dover fare quasi nulla. Una recente sentenza ha stabilito che questo accordo non viola le leggi antitrust, di fatto consolidando ulteriormente una partnership finanziaria che rende le due aziende molto più interdipendenti di quanto la loro rivalità pubblica lasci intendere.
Questo fiume di denaro crea un paradosso: Apple guadagna miliardi da un servizio che, con il suo progetto “World Knowledge Answers”, vorrebbe un giorno sostituire. L’accordo per l’uso di Gemini in Siri può essere visto anche in questa luce: un’estensione della collaborazione esistente, un modo per rafforzare i legami mentre si naviga in un periodo di transizione tecnologica.
Il ritardo accumulato da Apple nello sviluppo dell’intelligenza artificiale ha reso questa transizione più urgente del previsto. La decisione di posticipare il rinnovamento di Siri al 2026 è un segnale di difficoltà tecniche e strategiche, e la collaborazione con Google serve a tamponare la falla, a non lasciare che l’esperienza utente sui dispositivi Apple degradi troppo rispetto a quella offerta dalla concorrenza.
Resta però il dubbio più grande, quello che tocca l’identità stessa di Apple: la privacy.
Per anni, l’azienda di Cupertino ha costruito la sua immagine su una netta contrapposizione a Google, presentandosi come la custode dei dati dei suoi utenti. Permettere a Gemini di elaborare le domande poste a Siri, che possono contenere informazioni estremamente personali, sembra andare nella direzione opposta. Apple dovrà trovare un modo tecnicamente e comunicativamente molto convincente per garantire che questa integrazione non si traduca in una cessione di dati al suo partner-rivale.
La partita che si sta giocando è quindi su più livelli: tecnologico, strategico, finanziario e di fiducia. Apple sta cercando di eseguire una manovra complessa, usando le risorse di un concorrente per recuperare terreno, mentre prepara un attacco a lungo termine al suo core business. Il successo o il fallimento di questa scommessa definirà probabilmente il suo ruolo nel prossimo capitolo della storia dell’informatica.