L’UE rende la formazione sull’intelligenza artificiale un obbligo legale per le imprese e spinge il mercato del lavoro verso una rapida riconfigurazione di ruoli e competenze.

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Dal febbraio 2025, l'AI Act europeo rende obbligatoria la formazione sull'intelligenza artificiale nelle aziende italiane, accelerando una profonda trasformazione del lavoro. Il 64% delle imprese aumenta gli investimenti in competenze digitali. L'IA sta automatizzando mansioni ripetitive, specialmente in settori come banche e professioni intellettuali, ma genera anche una forte domanda di nuovi profili. Le aziende devono investire in reskilling strategico per adattarsi.
La polarizzazione del mercato del lavoro
L’applicazione dell’intelligenza artificiale sta seguendo percorsi molto specifici, concentrandosi su quelle mansioni caratterizzate da un’alta ripetitività e da processi standardizzabili. Il settore bancario e finanziario, per esempio, sta vivendo una delle trasformazioni più radicali. Studi di settore, come riportato da MYP, stimano che entro il 2030 oltre il 70% delle attività tradizionalmente svolte da un cassiere di banca potrebbe essere completamente automatizzato.
Non si tratta di proiezioni astratte: grandi gruppi come Intesa Sanpaolo e UniCredit hanno già avviato processi di ristrutturazione che prevedono una significativa riduzione del personale addetto a operazioni di routine, dirottando risorse e investimenti verso la consulenza a valore aggiunto e la gestione di sistemi digitali. Questa dinamica non è un’esclusiva del mondo del credito.
L’impatto si estende con forza anche al mondo delle professioni intellettuali. L’Osservatorio Professioni Digitali del Politecnico di Milano ha calcolato che, entro i prossimi cinque anni, il 30% delle attività oggi svolte da commercialisti, consulenti del lavoro e avvocati potrebbe essere gestito da algoritmi. Per i contabili, le previsioni sono ancora più nette: Deloitte stima che fino al 50% dei loro compiti tradizionali potrebbe essere sostituito dall’IA nel prossimo decennio.
Attività come la redazione di contratti standard, la verifica della conformità normativa o la riconciliazione dei conti stanno già passando sotto il controllo di sistemi intelligenti in grandi studi legali e società di consulenza, che vedono nell’automazione un modo per aumentare l’efficienza e ridurre il margine di errore umano. Questa transizione, tuttavia, solleva interrogativi complessi sulla ridefinizione del valore professionale e sulla capacità del sistema formativo di preparare persone a compiti che, forse, tra pochi anni non esisteranno più nella loro forma attuale.
La distruzione che crea
Il quadro dipinto da questi dati potrebbe apparire desolante, ma sarebbe una lettura parziale. Le analisi del McKinsey Global Institute indicano che, se da un lato l’IA generativa potrebbe automatizzare tra il 60% e il 70% delle attuali mansioni lavorative, dall’altro sta generando una domanda crescente per profili professionali completamente nuovi o radicalmente trasformati.
Mentre in Italia si stima che circa 6 milioni di posti di lavoro siano a rischio a causa dell’automazione, si prevede anche che altri 9 milioni di lavoratori dovranno necessariamente integrare le proprie mansioni con strumenti di intelligenza artificiale per rimanere competitivi.
Questo significa che la vera sfida non è tanto la sostituzione dell’uomo da parte della macchina, quanto la sua riconversione.
La domanda di data scientist, ingegneri specializzati in machine learning, sviluppatori di algoritmi e analisti di cybersecurity è in costante aumento, con una crescita prevista del 25-30% nei prossimi cinque anni e retribuzioni che riflettono la scarsità di queste competenze sul mercato.
– Leggi anche: OpenAI lancia il Progetto Stargate: 500 miliardi per l’infrastruttura AI del futuro
Queste nuove professioni, però, richiedono un set di abilità che va oltre la pura conoscenza tecnica. Un esperto di IA che lavora nel settore manifatturiero deve comprendere a fondo i processi produttivi e le dinamiche della catena di approvvigionamento; uno che opera in sanità deve avere familiarità con i protocolli clinici e le normative sulla privacy dei dati.
L’iperspecializzazione tecnica, da sola, non è più sufficiente.
La vera risorsa strategica diventa la capacità di applicare la tecnologia a un dominio specifico, risolvendo problemi reali.
Questa necessità di fondere competenza tecnica e conoscenza di settore è ciò che definisce la frontiera del valore. Non si tratta più di usare strumenti AI generici, ma di avviare un vero e proprio sviluppo di intelligenze artificiali ad hoc, creando soluzioni che incorporino la conoscenza unica dell’azienda per risolvere i problemi specifici del proprio mercato.
Le strategie di adattamento tra obbligo e opportunità
Di fronte a questa riconfigurazione, le aziende stanno adottando approcci diversi. Le più reattive si limitano a implementare i programmi di formazione minimi richiesti dalla legge per evitare sanzioni.
Altre, più lungimiranti, hanno capito che investire nella riqualificazione del proprio personale non è solo un costo, ma un vantaggio competitivo.
Invece di licenziare dipendenti le cui mansioni sono state automatizzate per poi cercare all’esterno nuove competenze, queste imprese stanno creando percorsi di transizione interni.
Offrono ai loro collaboratori la possibilità di formarsi e spostarsi verso nuovi ruoli emergenti, preservando così il capitale umano e la conoscenza specifica dell’azienda. Non è un caso che nei settori più innovativi, oltre il 70% delle imprese che hanno adottato l’IA abbia anche avviato programmi di formazione specifici e strutturati.
Questa scelta di investire nella riqualificazione, tuttavia, va oltre l’organizzazione di semplici corsi. Significa mappare le competenze esistenti, definire i percorsi di carriera futuri e gestire la transizione di interi reparti. È una sfida organizzativa complessa che richiede una moderna piattaforma per la gestione delle risorse umane, lo strumento che trasforma l’intenzione del reskilling in un processo aziendale strutturato.
Questa visione strategica, tuttavia, non è ancora la norma e si scontra con una cultura aziendale spesso focalizzata sul breve termine.
La questione che rimane aperta è se le dichiarazioni di molte multinazionali sull’importanza del “reskilling” siano una reale priorità strategica o piuttosto un’operazione di facciata per gestire l’impatto d’immagine delle ristrutturazioni.
La transizione verso un’economia integrata con l’IA, secondo il Focus Censis Confcooperative, potrebbe portare a un aumento del PIL italiano dell’1,8% in dieci anni, ma la distribuzione di questa nuova ricchezza dipenderà in gran parte dalle scelte che verranno fatte oggi, sia a livello politico che aziendale.
Il rischio è quello di creare una società ancora più polarizzata, divisa tra chi possiede le competenze per governare la tecnologia e chi si ritrova a subirne passivamente le conseguenze.
 
         
         
         
        


