Il nuovo modello permette di gestire le applicazioni di altre aziende direttamente all’interno della conversazione, un passo decisivo dopo il fallimento di precedenti esperimenti per creare un ecosistema.

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Alla conferenza DevDay 2025, OpenAI ha annunciato una trasformazione radicale per ChatGPT, che diventa una piattaforma universale per l'integrazione diretta di applicazioni esterne come Spotify e Figma. Questa mossa mira a posizionare ChatGPT come punto di accesso centrale ai servizi digitali, superando le difficoltà del precedente GPT Store e promettendo un'esperienza utente unificata. Il servizio è già disponibile, eccetto nell'UE.
L’ambizione di ChatGPT di diventare tutto
Durante la sua conferenza annuale per gli sviluppatori, DevDay 2025, OpenAI ha annunciato una trasformazione profonda per ChatGPT, che smette di essere solo un interlocutore artificiale per diventare una piattaforma universale attraverso cui utilizzare direttamente le applicazioni di altre aziende.
Non si tratta di un semplice aggiornamento, ma di un cambio di strategia radicale che mira a ridefinire il modo in cui interagiamo con i servizi digitali, posizionando ChatGPT non più come uno strumento tra tanti, ma come il punto di accesso centrale a un intero mondo di funzionalità.
L’idea è semplice e potente: anziché aprire diverse app per svolgere compiti diversi, l’utente potrà chiedere a ChatGPT di fare tutto al suo posto, direttamente all’interno della conversazione.
Questo significa che si potrà chiedere a ChatGPT di creare una playlist su Spotify, di trasformare uno schizzo in un diagramma su Figma, o di cercare un corso su Coursera, e l’assistente eseguirà l’azione richiamando l’applicazione specifica.
Come descritto da TechCrunch, il sistema è già attivo con un gruppo di partner di alto profilo che include, oltre a quelli già citati, anche Canva, Zillow, Booking.com ed Expedia.
Il servizio è stato reso disponibile per tutti gli utenti con un account, a prescindere dal tipo di abbonamento, ma per ora è escluso il territorio dell’Unione Europea, dove arriverà più avanti.
Questa mossa non è solo un tentativo di aggiungere nuove funzionalità, ma rappresenta il secondo, e forse più maturo, tentativo di OpenAI di costruire un vero e proprio ecosistema attorno al suo prodotto di punta, dopo le difficoltà incontrate con l’iniziativa precedente.
Un ecosistema, di nuovo
Chi segue da vicino le vicende di OpenAI ricorderà il lancio del GPT Store nel 2023. L’idea, allora, era quella di creare un mercato simile all’App Store di Apple, dove gli sviluppatori potessero pubblicare e, in futuro, monetizzare i propri “GPTs”, versioni personalizzate di ChatGPT per scopi specifici.
Quell’esperimento, tuttavia, non ha mai veramente decollato come sperato.
Secondo un’analisi di Axios, il GPT Store ha faticato a trovare una sua identità, diventando prevalentemente un contenitore di strumenti interni per aziende e vedendo un interesse calante da parte del grande pubblico, anche a causa di un percorso di monetizzazione per gli sviluppatori mai concretizzato.
Il problema principale era strutturale, un errore fatale di progettazione di interfacce e user experience: i GPT erano entità separate, che l’utente doveva cercare e attivare attivamente, frammentando l’esperienza invece di unificarla.
Il fallimento del GPT Store, però, sembra aver insegnato qualcosa a OpenAI.
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L’approccio attuale è radicalmente diverso: le app non vivono in un negozio separato, ma sono integrate nel flusso della conversazione. ChatGPT stesso suggerirà l’uso di un’app quando lo riterrà pertinente, rimuovendo ogni frizione per l’utente.
Se si chiede un itinerario di viaggio, potrebbe proporre di usare Expedia; se si parla di design, potrebbe attivare Canva.
Questa integrazione diretta è il vero cuore della nuova strategia, perché sposta il valore dalla singola applicazione all’intelligenza della piattaforma che sa quando e come utilizzarla.
Il CEO di OpenAI, Sam Altman, ha presentato questa evoluzione come un modo per rendere ChatGPT uno strumento per “fare progressi”, per essere più produttivi e creativi.
Ma per far funzionare questa complessa macchina, OpenAI ha dovuto costruire fondamenta tecnologiche solide e aperte, pensate per convincere gli sviluppatori che questa volta l’investimento del loro tempo e delle loro risorse avrà un ritorno.
Come funziona, e per chi
Alla base di questa nuova architettura c’è il Model Context Protocol (MCP), uno standard open-source che permette alle applicazioni esterne di comunicare in modo sicuro e strutturato con i modelli di intelligenza artificiale. Su questa base, OpenAI ha costruito un nuovo Apps SDK, un kit che ridefinisce le regole dello sviluppo di applicazioni portandolo da un contesto isolato a uno conversazionale e integrato.
Questo permette non solo di eseguire comandi, ma di visualizzare vere e proprie interfacce utente all’interno della chat, consentendo agli utenti di interagire con elementi grafici, fare login ai propri account e accedere a funzionalità premium dei servizi partner.
L’entusiasmo dei primi partner sembra confermare la validità dell’approccio. Zillow, per esempio, ha definito l’esperienza un “approccio rivoluzionario per la scoperta immobiliare”, sottolineando come l’intelligenza artificiale possa rendere la ricerca di una casa più umana e intuitiva. Per gli sviluppatori, la promessa è allettante: una distribuzione potenzialmente enorme, raggiungendo milioni di utenti di ChatGPT senza che questi debbano scaricare o installare nulla.
Tuttavia, rimangono ancora diversi punti interrogativi.
OpenAI ha promesso opzioni di monetizzazione e una directory pubblica delle app entro la fine dell’anno, ma al momento i dettagli sono scarsi. Inoltre, il lancio iniziale è limitato alla lingua inglese e, come già accennato, esclude l’Unione Europea, probabilmente in attesa di chiarire le complesse questioni normative legate al trattamento dei dati previste dal GDPR.
La promessa di una piattaforma aperta e accessibile si scontra quindi con la necessità di navigare un panorama legale sempre più attento e complesso, soprattutto quando si parla di condividere dati tra più servizi.
La scommessa sulla fiducia (e sul futuro)
Ogni volta che una piattaforma centralizza l’accesso a più servizi, la questione della privacy e della sicurezza diventa centrale. OpenAI sembra consapevole di questa sfida.
Al primo utilizzo di un’app, ChatGPT mostrerà una schermata di connessione che spiega quali dati verranno condivisi, e l’azienda ha promesso l’introduzione di controlli più granulari in futuro. Ogni app dovrà rispettare rigide policy di utilizzo, garantire la trasparenza sulle autorizzazioni richieste e raccogliere solo i dati strettamente necessari.
Queste rassicurazioni, tuttavia, si inseriscono in un dibattito più ampio sul ruolo che queste piattaforme stanno assumendo. Trasformando ChatGPT in un intermediario universale, OpenAI si posiziona come il nuovo “gatekeeper” dell’informazione e dei servizi, un ruolo che finora è stato ricoperto dai sistemi operativi di Google e Apple.
La scommessa di OpenAI è che la convenienza di un’esperienza unificata supererà le preoccupazioni degli utenti sulla privacy e sulla centralizzazione del potere nelle mani di un’unica azienda. Per gli sviluppatori, la scommessa è altrettanto grande: investire in un ecosistema la cui governance e le cui regole di monetizzazione sono ancora in gran parte da definire.
L’obiettivo finale è chiaro: rendere ChatGPT così indispensabile da diventare il primo, se non l’unico, punto di interazione con il mondo digitale.
Non più un sito da visitare o un’app da aprire, ma un vero e proprio sistema operativo conversazionale.
La vera domanda non è se la tecnologia funzioni, ma se gli utenti e gli sviluppatori saranno disposti a trasferire un’altra porzione significativa della loro vita digitale nelle mani di un’unica azienda, per quanto innovativa.



