Il suo slancio è dettato dallo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, che necessita di infrastrutture potenti, e da una più matura attenzione alla sovranità digitale, che porta le imprese a riconsiderare la gestione dei propri dati.

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Il mercato cloud italiano raggiungerà 8,13 miliardi di euro nel 2025, con una crescita del 20%. L'espansione è trainata dall'intelligenza artificiale e dalla crescente esigenza di sovranità digitale, che spinge verso soluzioni ibride e private cloud. L'Italia si afferma come hub strategico, ma deve affrontare sfide cruciali in governance e adeguamento normativo, come l'AI Act.
L’intelligenza artificiale come motore della spesa
L’Intelligenza Artificiale non è più un concetto astratto per le aziende italiane, ma un concreto motore di investimento. Il mercato specifico dell’AI ha raggiunto 1,2 miliardi di euro nel 2024, con un aumento del 58% in un solo anno, come riportato su osservatori.net.
Di questa cifra, quasi la metà (43%) è già attribuibile a progetti di Intelligenza Artificiale Generativa, a dimostrazione di quanto rapidamente questa tecnologia si stia diffondendo nel tessuto produttivo. I settori delle telecomunicazioni, dei media e quello assicurativo sono in testa per spesa media per singola azienda, ma anche energia e banche stanno investendo in modo significativo.
Questa spinta si traduce direttamente in una maggiore domanda di servizi cloud. Le imprese utilizzano sempre più piattaforme cloud, dove lo sviluppo di intelligenza artificiale su misura permette di creare applicazioni personalizzate e di gestire le enormi quantità di dati necessarie ad addestrare i modelli..
Mariano Corso, Direttore Scientifico dell’Osservatorio, spiega che «Intelligenza Artificiale e Cloud sono inscindibili», sottolineando come il cloud sia il motore che rende possibile l’AI. Tuttavia, aggiunge che per raccoglierne i benefici, le aziende devono imparare a «coniugare innovazione e governo dei dati», superando i limiti legati a competenze e sicurezza che oggi rappresentano ancora un ostacolo.
Il problema, infatti, non è più tecnologico, ma organizzativo e culturale.
E mentre la spinta all’innovazione spinge verso il cloud pubblico, altre considerazioni strategiche stanno portando a scelte più ponderate.
La sovranità digitale e la rincorsa al private cloud
Il 2025 segna un cambiamento nell’approccio delle aziende italiane al cloud. Se fino a qualche anno fa la migrazione verso il cloud pubblico sembrava la strada maestra, oggi si assiste a una ricalibrazione strategica.
Quasi la metà delle grandissime imprese (il 46%, in crescita dal 36% dell’anno precedente) adotta ormai strategie ibride e mirate, valutando con attenzione quali carichi di lavoro e quali dati affidare a fornitori esterni e quali mantenere sotto il proprio controllo diretto.
Questa tendenza è una risposta diretta alle crescenti preoccupazioni sulla sovranità dei dati, ovvero sulla capacità di un’azienda o di uno Stato di mantenere il controllo sulle proprie informazioni in un contesto geopolitico sempre più incerto.
La conseguenza più evidente di questo cambiamento è la crescita accelerata del segmento del Private Cloud, che quest’anno è aumentato del 23%, un ritmo più che doppio rispetto agli anni precedenti.
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Sebbene il mercato del Public e Hybrid Cloud continui a rappresentare la fetta più grande della torta, con quasi 6 miliardi di euro di valore e una crescita del 21%, l’exploit del privato segnala una nuova consapevolezza.
Le aziende non si fidano più ciecamente di consegnare i propri dati più sensibili — spesso il patrimonio informativo custodito in un sistema CRM — a infrastrutture gestite da terzi, soggette a normative extra-europee.
Come spiega Stefano Mainetti, altro Direttore Scientifico dell’Osservatorio, il cloud è diventato un asset talmente strategico che è necessario «mantenerne il controllo», costruendo una sovranità che non è chiusura, ma capacità di scelta consapevole.
Ma questa dinamica italiana si inserisce in un quadro europeo molto più ampio e complesso, dove le decisioni strategiche sono tutt’altro che semplici.
Un mercato europeo dominato dai giganti americani
L’Italia sta crescendo, ma la sua traiettoria si inserisce in un mercato europeo che nel 2025 ha toccato i 112 miliardi di dollari, con una crescita del 20%.
Il dato più significativo, e per certi versi preoccupante, è che la quasi totalità di questo immenso mercato è servita da aziende americane.
Questa dipendenza tecnologica dall’esterno è una delle questioni più dibattute a Bruxelles e nelle capitali europee, poiché solleva dubbi non solo sulla competitività industriale, ma anche sulla sicurezza nazionale e sull’autonomia strategica del continente.
L’Unione Europea non punta a creare da zero dei concorrenti diretti degli hyperscaler americani, un’impresa che sarebbe estremamente costosa e probabilmente tardiva, ma a rafforzare un proprio tessuto di fornitori in grado di garantire autonomia su applicazioni critiche e sulla gestione dei dati.
In questo contesto, l’Italia sta cercando di ritagliarsi un ruolo strategico come hub mediterraneo per le infrastrutture digitali. Un settore che, secondo l’Italian Data Center Association, vedrà investimenti per 22 miliardi di euro nei prossimi cinque anni, con una capacità installata che è destinata a raddoppiare in breve tempo.
Questo posizionamento, unito alla spinta del settore pubblico verso il Polo Strategico Nazionale, mira a creare un’infrastruttura sovrana su cui far poggiare i servizi essenziali per il Paese.
Tuttavia, l’infrastruttura da sola non basta.
La vera sfida si gioca sulla capacità di governare questa transizione, e qui emergono alcune lacune significative.
Un’indagine dell’Osservatorio rivela infatti che il 44% delle grandi aziende italiane non ha ancora introdotto policy per prevenire la perdita o l’uso improprio di informazioni sensibili da parte dei dipendenti che usano strumenti di AI Generativa.
Quasi la metà (46%) dichiara inoltre di avere difficoltà ad adeguarsi agli obblighi di tracciabilità e documentazione dei dati richiesti dall’AI Act europeo, dimostrando che la corsa alla tecnologia sta procedendo più velocemente della capacità di gestirne le implicazioni normative e di sicurezza.



