Secondo una vasta indagine commissionata dalla multinazionale ABB, un’interruzione imprevista può costare fino a 500.000 dollari l’ora e si verifica con una frequenza sorprendente, eppure molte aziende faticano a investire in soluzioni preventive

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Una vasta indagine ABB rivela il costo esorbitante dei macchinari fermi, stimando perdite fino a 500.000 dollari l'ora. Nonostante la frequenza dei guasti, molte aziende esitano a investire in modernizzazione. L'articolo esplora le ragioni di questa inazione, il paradosso finanziario e il contesto della ricerca, suggerendo una lettura critica delle soluzioni proposte dal committente.
Quanto costa davvero un macchinario fermo
Un impianto di produzione silenzioso non è quasi mai un buon segno. Il silenzio, in un contesto industriale, ha spesso un suono molto costoso: quello della produzione interrotta, delle consegne ritardate e dei ricavi mancati.
Una nuova e vasta indagine commissionata dalla multinazionale tecnologica ABB ha provato a quantificare questo costo, arrivando a cifre che descrivono un problema molto più radicato e frequente di quanto si potrebbe pensare.
Secondo lo studio, che ha coinvolto 3.600 dirigenti di aziende industriali in tutto il mondo, un’interruzione imprevista delle attività può costare a un’azienda fino a 500.000 dollari l’ora.
Il dato più significativo, tuttavia, non è tanto il costo orario, per quanto notevole, ma la sua regolarità. Il fermo macchina non sembra essere un evento eccezionale, una catastrofe rara, ma piuttosto una componente quasi strutturale della vita di molte imprese.
I risultati della ricerca, infatti, mostrano che quasi la metà degli intervistati (il 44%) subisce guasti alle apparecchiature almeno una volta al mese. Per un’azienda su sette, il 14% del totale, l’appuntamento con l’interruzione della produzione è addirittura settimanale.
Se i costi sono così evidenti e debilitanti, e la loro frequenza così alta, sorge spontanea una domanda: perché un numero così rilevante di aziende sembra esitare a investire in soluzioni che potrebbero mitigare il problema?
Un’interruzione quasi di routine
L’impatto finanziario di queste interruzioni è descritto nel dettaglio. L’83% dei leader aziendali intervistati ammette che un fermo imprevisto costa alla propria organizzazione almeno 10.000 dollari per ogni ora di inattività. Come descritto da ABB nel suo comunicato ufficiale, per il 76% di questi il costo orario si spinge fino alla soglia dei 500.000 dollari, e per un 7% la cifra sale ancora più in alto.
Questi numeri trasformano il concetto astratto di “perdita di produttività” in una passività concreta e misurabile che erode i margini di profitto e la competitività sul mercato.
Si tratta di una emorragia finanziaria costante, che per alcune realtà industriali diventa una voce di bilancio tanto prevedibile quanto indesiderata.
Eppure, a fronte di questa consapevolezza, i dati rivelano una profonda discrepanza tra il riconoscere il problema e l’agire per risolverlo.
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Più della metà degli intervistati (il 55%) dichiara di avere piani strategici per modernizzare i propri impianti e sostituire componenti obsoleti, come motori e azionamenti elettrici ormai datati. Tuttavia, quando si passa dalla pianificazione all’azione, le percentuali crollano drasticamente.
Tra le aziende che affrontano interruzioni settimanali, solo una su cinque mette effettivamente in atto i piani di ammodernamento. La situazione non migliora molto per chi subisce guasti mensili: in questo gruppo, solo il 34% gestisce attivamente il ciclo di vita delle proprie attrezzature.
Il risultato è che un terzo delle aziende interpellate non ha intrapreso alcun progetto di aggiornamento dei sistemi motorizzati negli ultimi due anni, lasciando di fatto che guasti potenzialmente prevenibili continuino ad accadere.
Il paradosso dell’inazione
Le ragioni di questa apparente inerzia sono complesse.
L’ostacolo più citato è, prevedibilmente, il costo. Per il 28% delle aziende, l’investimento iniziale necessario per la modernizzazione rappresenta la barriera principale. Questo dato, però, nasconde una sfida più sottile e forse più difficile da superare: la difficoltà nel comunicare il valore di tale investimento.
Più di un terzo dei manager intervistati trova difficile, se non molto difficile, giustificare il ritorno economico di un progetto di ammodernamento ai vertici aziendali. La spesa per nuovi macchinari è certa e immediata, mentre i benefici sono futuri e difficili da quantificare, a meno che non vengano modellati da un sistema ERP, che collega i dati operativi ai risultati finanziari.
Questa difficoltà di comunicazione interna è aggravata da un approccio contabile che, in alcuni casi, sembra ignorare le conseguenze più ampie di un guasto. Un sorprendente 17% delle aziende ammette di non includere, o di farlo solo raramente, l’impatto della produttività persa nel calcolo per decidere un investimento di capitale.
In pratica, il costo di un macchinario fermo viene sottostimato fin dall’inizio, rendendo qualsiasi spesa per prevenirlo apparentemente meno giustificabile. Si crea così un circolo vizioso: non si investe perché i costi dell’inazione sono calcolati in modo incompleto, e questa mancanza di investimento porta a ulteriori fermi, i cui costi reali continuano a non essere pienamente considerati.
Questa situazione solleva un dubbio:
È possibile che la “modernizzazione” proposta da fornitori esterni non sia sempre la risposta più adatta per ogni modello di business, e che la gestione del rischio legato a guasti occasionali sia, per alcuni, una scelta strategica consapevole?
Una diagnosi interessata?
È importante notare il contesto in cui questa analisi è stata prodotta. Lo studio è stato commissionato da ABB, una delle più grandi aziende al mondo fornitrici di tecnologie per l’automazione e l’elettrificazione, ovvero le stesse soluzioni di “modernizzazione” di cui la ricerca evidenzia la necessità.
Oswald Deuchar, responsabile del programma di modernizzazione di ABB, parla di una “crisi silenziosa”, affermando che non agire è “più di un’opportunità mancata”. Si tratta di una narrazione efficace, che dipinge un quadro preoccupante e, contemporaneamente, posiziona l’azienda non solo come analista del problema, ma anche come principale fornitore della soluzione.
Le promesse sono ambiziose: come riportato sulla pagina dedicata all’innovazione dell’azienda, l’implementazione di sistemi di gestione degli asset adeguati potrebbe portare a un risparmio fino al 40% sui costi di manutenzione.
Questa prospettiva, sebbene basata su dati estesi, va letta con la consapevolezza del suo fine commerciale. La scelta per un’azienda industriale non è semplicemente tra “modernizzare” e “non modernizzare”. È una decisione complessa che deve bilanciare un investimento iniziale, spesso ingente e dall’esito non garantito, con il costo continuo e frammentato dei fermi macchina.
Questo tema era già emerso in una precedente indagine di ABB del 2023, che aveva rilevato un costo mediano orario per i fermi di 125.000 dollari. In quell’occasione, come descritto dalla testata Mechatronics Canada, Virve Viitanen, un’altra dirigente di ABB, aveva sottolineato la necessità per le aziende di “passare da un approccio di manutenzione ad alto rischio, basato sull’attesa del guasto, a una strategia a lungo termine basata sui risultati”.
Il messaggio è coerente e martellante: il vecchio modo di fare manutenzione non è più sostenibile.
Resta da capire, per ogni singola azienda, se l’alternativa proposta sia l’unica percorribile o se esistano strategie intermedie, meno costose e più adatte a specifiche realtà produttive. La diagnosi è chiara, ma la cura proposta è inevitabilmente quella venduta da chi ha pagato per l’analisi.



