Viene definito il quadro operativo e finanziario per rafforzare le difese digitali del paese nei prossimi anni, stanziando fondi per centinaia di progetti volti a garantire protezione e autonomia strategica.

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Il governo italiano ha approvato un nuovo piano per la cybersicurezza, stanziando 58 milioni di euro tra il 2025 e il 2027. L’investimento rafforza le difese digitali, finanziando circa trecento progetti della Strategia Nazionale di Cybersicurezza 2022-2026. L'obiettivo è proteggere infrastrutture critiche e servizi pubblici da minacce complesse, tramite un'architettura coordinata che coinvolge ACN e altri enti statali.
Il nuovo piano dell’Italia per la cybersicurezza
Il governo ha messo a punto il quadro operativo e finanziario per rafforzare le difese digitali del paese nei prossimi anni. Con un decreto recentemente approvato è stato definito nel dettaglio come verranno spesi circa 58 milioni di euro tra il 2025 e il 2027, destinati a finanziare una parte dei quasi trecento progetti che costituiscono il piano di implementazione della Strategia Nazionale di Cybersicurezza 2022-2026.
L’obiettivo è rendere l’Italia più sicura di fronte a minacce informatiche sempre più complesse e pervasive, che non riguardano più soltanto il furto di dati o le truffe online, ma toccano la stabilità delle infrastrutture critiche, il funzionamento dei servizi pubblici e persino la tenuta del dibattito democratico.
L’investimento, sebbene possa sembrare modesto se paragonato alle cifre mosse dal settore privato, rappresenta un segnale di continuità e strutturazione di uno sforzo che va avanti da tempo, integrandosi con i fondi ben più consistenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Il vero punto non è solo la quantità di denaro stanziato, ma il metodo con cui si intende costruire un’architettura di difesa coordinata, coinvolgendo ministeri, agenzie, forze dell’ordine e autorità indipendenti in uno sforzo congiunto.
Avere le risorse è un primo passo, ma la sfida più complessa consiste nel far dialogare e collaborare una galassia di enti e istituzioni, ognuno con competenze e priorità specifiche.
Un’architettura a più livelli
Per comprendere come funzionerà questo sistema, è utile guardare alla sua struttura. La strategia si basa su un modello che affida ruoli precisi a diversi soggetti dello Stato.
Al centro di tutto c’è l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN), che agisce come il principale regista e coordinatore delle politiche di sicurezza digitale, una sorta di punto di riferimento tecnico e strategico per l’intero apparato pubblico.
L’ACN non lavora però da sola.
È affiancata da altre tre colonne portanti: la prima è quella della prevenzione e del contrasto al crimine informatico, un compito storicamente affidato alle forze di polizia come la Polizia Postale, i Carabinieri e la Guardia di Finanza.
Il secondo pilastro riguarda la difesa in senso stretto, ovvero la protezione del paese da attacchi di natura militare o statale, un ambito di competenza del Ministero della Difesa, che gestisce la dimensione cibernetica dei conflitti moderni.
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Infine, il terzo elemento di questa strategia è l’intelligence, affidata ai servizi di informazione per la sicurezza, che si occupano di ricerca e analisi delle minacce per proteggere gli interessi strategici nazionali.
Come descritto sul portale di Avviso Pubblico, questo sistema a quattro gambe è pensato per coprire ogni aspetto della minaccia cyber, dalla criminalità comune allo spionaggio internazionale.
La suddivisione dei fondi del nuovo decreto servirà proprio a oliare questi ingranaggi, finanziando progetti che vanno dal potenziamento delle reti della pubblica amministrazione alla formazione di personale specializzato.
Ma definire i compiti e distribuire le risorse è solo una parte del lavoro; il successo del piano dipenderà dalla sua capacità di perseguire obiettivi concreti e misurabili.
La difficile ricerca dell’autonomia digitale
Gli obiettivi della strategia italiana si possono riassumere in tre grandi aree: proteggere, rispondere e sviluppare. ‘Proteggere’ significa rendere più robusti i sistemi informatici di ospedali, reti energetiche, trasporti e pubbliche amministrazioni, definendo standard di sicurezza più elevati e gestendo i rischi in modo proattivo.
‘Rispondere’ implica avere la capacità di reagire rapidamente ed efficacemente a un attacco, gestendo la crisi, limitando i danni e individuando i responsabili. Questo richiede esercitazioni costanti e un sistema di allerta che funzioni a livello nazionale ed europeo.
È l’obiettivo dello ‘sviluppo’, tuttavia, a rappresentare la sfida più ambiziosa e politicamente complessa.
Sviluppare, nel contesto della cybersicurezza, significa puntare alla cosiddetta autonomia strategico-tecnologica. In parole semplici, l’Italia, insieme all’Europa, vuole ridurre la propria dipendenza dalle tecnologie prodotte da aziende extra-europee, principalmente americane e cinesi, che oggi dominano il mercato del software, del cloud, dello sviluppo di intelligenze artificiali e dei componenti hardware.
Questa dipendenza non è solo una questione economica, ma strategica.
Affidare i dati dei cittadini, le comunicazioni governative e la gestione delle infrastrutture critiche a tecnologie controllate da entità esterne pone interrogativi significativi sulla sicurezza e sulla sovranità nazionale. Il piano prevede di stimolare la crescita di un’industria nazionale ed europea della cybersicurezza, creando un ‘parco nazionale’ che metta insieme ricerca universitaria, aziende private e competenze pubbliche.
Questo percorso, però, è tutt’altro che semplice.
Creare alternative competitive a giganti tecnologici consolidati richiede investimenti enormi e un orizzonte temporale molto lungo. È un progetto che solleva dubbi sulla sua effettiva realizzabilità in un mercato globale dove l’innovazione corre a una velocità difficilmente sostenibile per iniziative guidate principalmente dal settore pubblico.
A questo si aggiunge un’altra dimensione della sovranità digitale: la lotta alla disinformazione. La strategia riconosce esplicitamente le ‘minacce ibride’, quelle in cui gli attacchi informatici si mescolano a campagne di manipolazione dell’informazione online per destabilizzare il paese.
Proteggere il ‘dominio informativo’ è diventato quindi un compito altrettanto importante quanto difendere le reti, ma che si muove su un terreno molto più delicato, dove il confine tra sicurezza e controllo dell’informazione può diventare sottile.
L’efficacia di questo imponente sforzo si misurerà non solo nella sua capacità di respingere il prossimo grande attacco informatico, ma anche nella sua abilità di costruire, pezzo dopo pezzo, un sistema digitale nazionale che sia non solo sicuro, ma anche genuinamente sovrano.



