La controversia solleva domande fondamentali sull’identità dei sistemi di intelligenza artificiale e su chi controlla la relazione con il cliente nel nascente commercio agentivo.

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Amazon e Perplexity AI sono impegnate in uno scontro legale cruciale per il futuro del commercio agentivo. Amazon accusa l'AI Comet di Perplexity di violare i termini, acquistando senza identificazione. Perplexity difende il suo assistente come estensione dell'utente. La disputa, avviata a novembre 2025, modellerà le regole per gli acquisti autonomi tramite AI e il controllo delle piattaforme digitali.
Una questione di identità (e di controllo)
Per comprendere la portata dello scontro, è necessario capire cosa sia Comet.
Non si tratta di un browser come tutti gli altri. È un browser “agentivo”, capace cioè non solo di trovare informazioni, ma di agire in autonomia.
Comet può cercare prodotti, scorrere le pagine, confrontare le opzioni, compilare moduli e, soprattutto, completare un acquisto senza alcun intervento umano. Questa capacità modifica radicalmente il modo in cui le persone interagiscono con il commercio online, rendendo potenzialmente superflua gran parte del processo di navigazione e selezione manuale.
La disputa tra Amazon e Perplexity rivela quindi due visioni opposte sul futuro del web. Da un lato, c’è la posizione di Amazon, che riflette l’istinto tradizionale di una grande piattaforma di mantenere il controllo sul proprio ambiente digitale attraverso requisiti di trasparenza e identificazione. Per il colosso di Seattle, qualsiasi software che opera sul suo sito deve dichiarare la sua natura.
Dall’altro lato, c’è la filosofia di Perplexity, incentrata sull’utente: l’assistente AI è un’emanazione della volontà dell’individuo e ne eredita diritti e permessi.
Si delinea così una domanda fondamentale per il nascente web agentivo: i sistemi di intelligenza artificiale sono attori indipendenti che devono identificarsi o sono estensioni trasparenti degli utenti che rappresentano?
La risposta a questa domanda avrà conseguenze profonde, ben oltre i confini del sito di Amazon.
Le ripercussioni di questa battaglia legale, infatti, si estendono a tutto il settore delle vendite online, in particolare a quello del B2B (business-to-business), un mercato dove le transazioni digitali sono sempre più automatizzate.
Benjamin Fabre, amministratore delegato della società di gestione delle frodi informatiche DataDome, ha commentato la vicenda su Digital Commerce 360, definendola un momento emblematico che “sottolinea una tensione fondamentale: chi controlla la relazione con il cliente quando intermediari AI agiscono per conto degli utenti?”.
Per le aziende, questo è un campanello d’allarme.
La loro visibilità futura potrebbe non dipendere più solo da come appaiono sui motori di ricerca o sui social media, ma da come vengono interpretate, o addirittura escluse, dagli agenti AI che prendono le decisioni.
Le conseguenze per chi vende online
Tradizionalmente, le aziende che vendono ad altre aziende hanno investito ingenti risorse nella costruzione di relazioni dirette, attraverso team di vendita, sviluppo di portali di e-commerce e esperienze digitali personalizzate.
Il commercio agentivo minaccia di aggirare tutta questa infrastruttura.
Se un’intelligenza artificiale può valutare fornitori ed emettere ordini in totale autonomia, l’accesso del venditore all’acquirente e ai dati che alimentano quella relazione rischia di svanire, nascosto dietro l’intermediario algoritmico.
In questo nuovo contesto, a determinare la visibilità di un’azienda non saranno più le strategie di marketing o l’ottimizzazione per i motori di ricerca, ma la qualità dei suoi dati di prodotto, che dovranno essere strutturati in modo da essere facilmente leggibili e interpretabili dalle macchine.
La velocità diventerà un fattore ancora più determinante: un agente AI che effettua un ordine si aspetta una convalida istantanea, dati di inventario precisi e visibilità sulla consegna in tempo reale.
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Le aziende i cui sistemi non saranno in grado di rispondere a questa velocità perderanno inevitabilmente terreno.
Questa evoluzione suggerisce uno spostamento radicale del campo di gioco. Forse, la vera domanda che ogni venditore B2B dovrebbe porsi non è più “come appaio al cliente?”, ma “come rispondo alla macchina?”. Potrebbe essere che la nuova arena competitiva non sia più l’interfaccia del sito, ma la robustezza del backend, ovvero la capacità di un sistema ERP di dialogare in tempo reale e con dati perfetti con qualsiasi agente esterno.
L’insistenza di Amazon sull’identificazione degli agenti è un segnale di come le grandi piattaforme intendano mantenere il controllo. È probabile che restrizioni simili possano presto apparire su altri hub di approvvigionamento B2B, come SAP Ariba o Thomasnet, costringendo i venditori a conformarsi a nuovi requisiti per poter continuare a operare.
Ma la mossa di Amazon è puramente difensiva o nasconde una strategia più ampia?
Un conflitto di interessi grande quanto un mercato
La tempistica di questa azione legale solleva qualche interrogativo, soprattutto se si considerano le ambizioni di Amazon nel campo dell’intelligenza artificiale. Come riportato da diverse fonti, tra cui un’analisi su YouTube, l’azienda sta sviluppando i propri strumenti di acquisto basati su AI, tra cui Rufus, un assistente conversazionale, e un progetto ancora più ambizioso chiamato “Buy For Me”, un agente di acquisto destinato a competere direttamente nello stesso settore di Comet.
Questo contesto aggiunge una dimensione di tensione competitiva alla disputa, suggerendo che Amazon potrebbe non solo voler stabilire un precedente normativo, ma anche proteggere la propria posizione di mercato e preparare il terreno per i suoi futuri prodotti.
Lo scontro, quindi, assume una valenza che va oltre i confini statunitensi. In mercati in rapida crescita come l’India, giganti dell’e-commerce come Flipkart e Meesho dovranno probabilmente riconsiderare le proprie policy sui bot, man mano che i browser AI inizieranno ad automatizzare il confronto dei prezzi e i processi di acquisto.
Il caso potrebbe persino creare un precedente per i regolatori indiani che stanno elaborando le prime norme di condotta per l’AI nell’ambito dell’iniziativa Digital India, influenzando così la governance di questi sistemi a livello internazionale.
Alla fine dei conti, la disputa tra Amazon e Perplexity non riguarda solo una violazione dei termini di servizio, ma il controllo stesso dell’agire digitale nell’era dell’intelligenza artificiale.
L’esito determinerà se i sistemi AI diventeranno strumenti che consentono agli utenti di fare acquisti liberamente su Internet, o se rimarranno subordinati a ecosistemi controllati dalle grandi piattaforme.
Qualunque sia la conclusione, questa battaglia legale sta già definendo il modo in cui commercio, regolamentazione e intelligenza artificiale interagiranno negli anni a venire.



