L’impulso a produrre dispositivi sempre più complessi e in tempi record sta ridefinendo le fabbriche con l’automazione, che tuttavia crea nuove dipendenze tecnologiche e strategiche.

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
L'automazione robotica è la spina dorsale dell'industria elettronica, essenziale per produrre con precisione e velocità estreme. Robot, AI e digital twin rivoluzionano la produzione di componenti miniaturizzati. Questo genera efficienza ma solleva questioni critiche: dipendenza tecnologica e concentrazione di potere tra fornitori globali come ABB, NEXTY e Robotphoenix, ridefinendo gli equilibri industriali mondiali.
Una questione di millimetri e secondi
La sfida principale per i produttori di smartphone, circuiti stampati (PCB) e dispositivi di consumo si gioca su scale infinitesimali. L’assemblaggio di componenti che misurano frazioni di millimetro richiede una stabilità e una ripetibilità che la mano umana, per sua natura, non può garantire per otto ore consecutive.
Un tremore impercettibile o un posizionamento errato di pochi micron possono rendere un intero lotto di produzione inutilizzabile, con costi enormi in termini di scarti e ritardi. I robot, al contrario, offrono una precisione che può arrivare a ±0,035 millimetri, operando a velocità che superano i 7.000 pezzi all’ora, come descritto in un’analisi di Robotics and Automation News.
L’automazione risponde anche a un’altra esigenza critica: la pulizia. Molti processi di produzione di semiconduttori e componenti elettronici richiedono ambienti controllati, le cosiddette clean room, dove la presenza di polvere o elettricità statica è ridotta al minimo. I robot progettati per questi contesti, spesso definiti “clean-version”, sono costruiti per non contaminare l’ambiente, un requisito fondamentale che limita drasticamente l’intervento umano diretto.
A queste pressioni tecniche si aggiunge la dinamica del mercato: i consumatori si aspettano nuovi modelli di smartphone e gadget ogni anno, costringendo i produttori a riprogettare e riconfigurare le linee di produzione a un ritmo prima impensabile. La programmazione manuale di un robot per ogni nuovo compito sarebbe troppo lenta e costosa.
È qui che l’automazione moderna mostra il suo vero potenziale, passando da sistemi rigidi a soluzioni in grado di auto-configurarsi.
Ma questa flessibilità ha un prezzo, e non è solo economico.
Le fabbriche diventano sempre più dipendenti da software proprietari e architetture tecnologiche complesse, il cui controllo è nelle mani di un numero ristretto di attori globali.
I protagonisti di una partita globale
A guidare questa rivoluzione sono alcune grandi aziende multinazionali, ognuna con una strategia distinta. La svizzera ABB Robotics si posiziona come il fornitore di un sistema integrato su larga scala. La sua offerta include non solo robot industriali e collaborativi, ma anche i software di controllo e i sistemi di movimentazione autonoma (AMR) che permettono di creare celle di lavoro adattive.
Queste sono capaci di passare dalla produzione di un componente a un altro con tempi di fermo minimi. La decisione di ABB di scorporare la sua divisione robotica entro il 2026 non è solo una manovra finanziaria, ma il segnale di come l’automazione sia diventata un’arena competitiva a sé stante, con logiche e ritmi propri.
L’approccio di ABB, sebbene efficace, crea una forte dipendenza: un’azienda che adotta il suo sistema si lega a un unico fornitore per macchine, software e assistenza, limitando la propria libertà negoziale e di innovazione futura.
Un modello diverso è quello proposto dalla giapponese NEXTY Electronics, parte del gruppo Toyota. NEXTY non produce robot, ma si specializza nell’integrazione di sistemi di produttori diversi, facendoli comunicare attraverso software avanzati di pianificazione del movimento. Il vantaggio è una maggiore flessibilità, che permette di scegliere la macchina migliore per ogni specifica applicazione senza essere legati a un unico marchio.
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Questa strategia risponde bene alle esigenze delle fabbriche asiatiche, che devono affrontare una cronica carenza di manodopera specializzata e necessitano di soluzioni rapide. Tuttavia, l’approccio presenta criticità: la complessità dell’integrazione può generare vulnerabilità e il successo dipende dalla capacità di un intermediario di far funzionare tecnologie eterogenee.
Emerge con forza la cinese Robotphoenix, specializzata in robot ad alta velocità e precisione per l’industria 3C (computer, comunicazioni e consumer electronics). La sua ascesa non è casuale, ma si inserisce nel piano strategico “Made in China 2025”, che mira a trasformare la Cina da “fabbrica del mondo” a leader tecnologico nell’automazione avanzata.
Robotphoenix rappresenta un’innovazione mirata, che risponde alle esigenze della gigantesca filiera elettronica cinese. La questione, però, è se questa tecnologia rimarrà uno strumento per consolidare il dominio produttivo cinese o se diventerà un’alternativa competitiva su scala globale, sfidando i colossi occidentali e giapponesi sul loro stesso terreno.
La competizione tra questi modelli strategici determinerà chi guiderà la prossima fase dell’industrializzazione, ma lascia aperta una domanda fondamentale per chi produce: scegliere l’efficienza integrata di un unico fornitore o la flessibilità più complessa di un sistema aperto?
Oltre la catena di montaggio
La trasformazione in atto va ben al di là della semplice meccanizzazione. Tendenze come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e i “gemelli digitali” (digital twin) stanno portando l’automazione a un livello superiore. L’intelligenza artificiale, per esempio, non serve solo a migliorare la visione dei robot per la presa di oggetti minuti, ma anche a ottimizzare l’intera fabbrica.
Algoritmi di apprendimento automatico analizzano flussi di dati provenienti da sensori per prevedere guasti alle macchine prima che si verifichino, pianificando la manutenzione in modo da evitare costosi fermi di produzione. Si stima che il tempo di inattività non pianificato costi ai produttori industriali circa 50 miliardi di dollari all’anno, come evidenziato da diverse analisi di settore.
Di fronte a un costo così elevato, viene da chiedersi quale sia l’approccio più efficace per una singola azienda. È lecito domandarsi se la soluzione sia affidarsi agli algoritmi generici dei grandi fornitori, o se un vantaggio competitivo reale non si costruisca internamente. Forse, la vera efficacia risiede nello sviluppare modelli di machine learning proprietari, addestrati per riconoscere le anomalie uniche e i pattern specifici dei propri macchinari, trasformando i dati grezzi in un vero e proprio asset predittivo.
Il concetto di digital twin rappresenta un altro passo in avanti. Si tratta di creare una replica virtuale e perfettamente funzionante di un’intera fabbrica nel software. Prima ancora di posare un solo mattone o installare un macchinario, le aziende possono simulare ogni aspetto del processo produttivo, testare diverse configurazioni, addestrare i robot e ottimizzare i flussi di lavoro. Questo permette di ridurre drasticamente i tempi e i costi di avvio di un nuovo impianto, correggendo gli errori nel mondo virtuale anziché in quello reale.
Tuttavia, questa profonda digitalizzazione della produzione introduce nuove complessità. La quantità di dati generata da una fabbrica intelligente è immensa, e la loro gestione e sicurezza diventano aspetti fondamentali.
A chi appartengono realmente questi dati? Al produttore che gestisce la fabbrica o all’azienda che fornisce la tecnologia di automazione e il software di analisi?
Il rischio è che i produttori, pur aumentando la loro efficienza, perdano il controllo su informazioni strategiche relative ai loro stessi processi, cedendo di fatto un ulteriore pezzo della loro autonomia ai giganti della tecnologia. La fabbrica del futuro potrebbe essere straordinariamente efficiente, ma anche molto più vulnerabile e meno indipendente di quanto non lo sia oggi.



