I reparti marketing faticano a gestire e ottimizzare i contenuti per essere trovati ed elaborati dagli strumenti di intelligenza artificiale, che già producono un terzo dei contatti commerciali qualificati, mettendo in discussione l’approccio relazionale nel B2B.

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Nonostante l'intelligenza artificiale sia un motore chiave per la generazione di contatti qualificati, le aziende B2B sono ampiamente impreparate. Solo l'11% dei dirigenti marketing ottimizza i contenuti per piattaforme IA, benché il 34% dei lead provenga da questi canali. La Generative Engine Optimization (GEO) è vista come prioritaria, ma l'implementazione pratica arranca, evidenziando un divario tra consapevolezza e azioni concrete nel settore.
La corsa a un’ottimizzazione che ancora non c’è
Il passaggio dalla SEO alla GEO (la Generative Engine Optimization) non è un semplice aggiornamento di acronimi, ma rappresenta un cambiamento fondamentale nell’approccio alla creazione di contenuti. Per anni, le aziende hanno imparato a “parlare” la lingua dei motori di ricerca tradizionali, concentrandosi su parole chiave, link e una struttura tecnica che favorisse l’indicizzazione da parte degli algoritmi di Google.
Oggi, la sfida è più complessa: si tratta di creare contenuti che non solo siano comprensibili per un algoritmo, ma che siano anche abbastanza chiari, strutturati e affidabili da essere scelti, sintetizzati e presentati come risposte dirette da un’intelligenza artificiale.
In pratica, questo significa che non basta più scrivere un articolo di blog o una pagina di prodotto sperando che un potenziale cliente la trovi cercando le parole giuste. È necessario che il contenuto, a partire da quello pubblicato sul proprio sito corporate, sia costruito in modo tale che un sistema come ChatGPT possa “fidarsi” delle informazioni che contiene, assimilarle e riproporle a un utente che pone una domanda complessa.
Questo richiede un rigore maggiore, la citazione esplicita delle fonti, dati verificabili e una scrittura che privilegi la chiarezza e la precisione rispetto a un linguaggio puramente promozionale.
Un’evoluzione che, a ben vedere, spinge il marketing verso una forma di comunicazione più vicina al giornalismo o alla divulgazione scientifica.
Tuttavia, anche in questo ambito, l’adozione di nuove pratiche si sta rivelando tutt’altro che omogenea. Le strategie di investimento dei reparti marketing mostrano un’industria divisa a metà.
Se da un lato il 37 per cento dei budget viene già destinato a strumenti per la GEO e a contenuti ottimizzati per l’IA, una quota quasi identica continua a essere spesa in canali più tradizionali, come la distribuzione a pagamento e l’amplificazione sui social media.
Anche dal punto di vista tattico, le strade intraprese sono diverse: circa la metà dei manager punta su strategie tecniche come l’ottimizzazione dei metadati, mentre l’altra metà si affida alla pubblicazione di contenuti realizzati da esperti o all’assunzione di consulenti specializzati in GEO.
Questa frammentazione suggerisce che, al di là delle dichiarazioni di intenti, non esiste ancora un consenso su quale sia il modo migliore per affrontare questa transizione, lasciando molte aziende in una sorta di limbo strategico.
Chi resta indietro e perché
Questa incertezza non si manifesta solo a livello di singole aziende, ma disegna anche nuove geografie competitive. Lo studio rivela, per esempio, notevoli disparità regionali nella preparazione all’intelligenza artificiale.
Le aziende californiane e britanniche risultano essere le più avanzate, con il 96 per cento che dichiara di avere contenuti già pronti per la ricerca tramite IA, seguite da quelle francesi (93%). In fondo alla classifica si trova la Germania, con un più modesto 83 per cento.
Questo divario geografico potrebbe riflettere non solo diverse maturità di mercato, ma anche differenti approcci culturali e normativi all’adozione di nuove tecnologie. In un mercato B2B globale che nel 2025 ha raggiunto un valore di oltre 32 mila miliardi di dollari, come descritto da Coalition Technologies, anche un piccolo vantaggio competitivo può tradursi in enormi guadagni, e chi si muove per primo potrebbe definire le regole del gioco per gli anni a venire.
Il ritardo dei reparti marketing appare ancora più evidente se confrontato con la velocità con cui l’intelligenza artificiale sta permeando il resto delle attività aziendali. Una recente ricerca di Digital Commerce 360 mostra come il 100 per cento dei leader aziendali utilizzi ormai strumenti di IA generativa a supporto delle vendite, del marketing o del servizio clienti.
Questo dato, in crescita vertiginosa rispetto al 62 per cento dell’anno precedente, segnala che l’intelligenza artificiale ha smesso di essere un esperimento per pochi ed è diventata una componente strategica fondamentale per la crescita dei ricavi. Si sta quindi creando una frattura interna alle organizzazioni: mentre i vertici aziendali spingono per un’adozione universale e strategica dell’IA, i team operativi che dovrebbero implementarla sul fronte dei contenuti appaiono ancora in difficoltà.
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Le ragioni di questo scollamento sono probabilmente molteplici.
Da un lato, c’è la difficoltà di riconvertire competenze e processi consolidati. Dall’altro, potrebbe esserci una certa dose di scetticismo riguardo alla reale sostenibilità di un modello basato interamente sull’automazione.
Le grandi aziende tecnologiche che promuovono queste soluzioni tendono a presentarle come una panacea per l’efficienza e la personalizzazione, ma la realtà sul campo è spesso più complessa e richiede un equilibrio delicato tra innovazione e consolidamento.
La domanda che molte aziende si pongono, forse, non è tanto se adottare l’IA, ma come farlo senza smarrire il proprio vantaggio competitivo o, peggio, la fiducia dei propri clienti.
L’automazione e i suoi compromessi
Un esempio interessante di questo approccio più cauto arriva dalle aziende B2B dei paesi nordici. Un’analisi di settore ha rilevato che, pur essendo tra le più rapide nell’adottare l’IA per migliorare le operazioni di e-commerce, queste aziende identificano anche con grande lucidità i rischi associati a questa transizione.
Le preoccupazioni principali, come riportato su Digital Commerce 360, riguardano l’indebolimento delle relazioni con i clienti a causa della perdita del contatto umano, il rischio di errori derivanti da output di IA inaffidabili e il pericolo di cedere un controllo eccessivo a sistemi automatizzati.
Il capo delle vendite di un grossista nordico ha riassunto bene il dilemma: «L’uso dell’IA si espanderà con l’aumentare delle conoscenze e dell’esperienza, ma richiede la giusta formazione e un’implementazione ponderata».
Questo punto è centrale. La narrazione dominante, spesso promossa dalle grandi multinazionali tecnologiche, presenta l’intelligenza artificiale come uno strumento per raggiungere una “precisione” di marketing mai vista prima, permettendo di inviare messaggi iper-segmentati e personalizzati al momento giusto.
L’analisi predittiva, si dice, consente oggi di determinare quali clienti sono più propensi a convertire e quando sono più ricettivi, con la promessa di un ritorno sugli investimenti più elevato e tempi di conversione più brevi.
Ma è lecito chiedersi se questa enfasi ossessiva sull’efficienza e sulla personalizzazione su larga scala non stia trascurando un elemento fondamentale del mercato B2B: la relazione.
A differenza del mercato consumer, le vendite tra aziende si basano su fiducia e consulenza, rapporti la cui storia è custodita all’interno di un sistema CRM (Customer Relationship Management). L’automazione spinta, per quanto sofisticata, rischia quindi di trasformare proprio questo dialogo in un monologo personalizzato.
Le aziende stanno investendo enormi risorse per costruire sistemi più efficaci per parlare ai clienti, ma forse non abbastanza per parlare con loro.
La sfida, quindi, non è semplicemente tecnologica, ma profondamente strategica.
Il vero vantaggio competitivo per gli anni a venire potrebbe non risiedere in chi avrà l’algoritmo più performante, ma in chi saprà integrare l’efficienza dell’intelligenza artificiale con l’intelligenza emotiva e relazionale delle persone.
Il rischio, altrimenti, è quello di ritrovarsi con aziende perfettamente ottimizzate per parlare con le macchine, ma che hanno dimenticato come si parla con i propri clienti.



