La contesa per il controllo di Internet: Web3, AI e la sfida della centralizzazione

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Il controllo del web, oggi nelle mani di poche grandi aziende, è messo in discussione dalla proposta decentralizzata del Web3, ma la rapida ascesa dell’intelligenza artificiale introduce una nuova e complessa variabile nella contesa.

La contesa per il controllo di Internet: Web3, AI e la sfida della centralizzazione
[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
La lotta per il controllo di Internet è aperta. Il Web 2.0 è centralizzato, ma il Web3 propone un'alternativa decentralizzata basata su blockchain per ridare il potere agli utenti. L'intelligenza artificiale generativa, però, complica lo scenario, introducendo nuove sfide sulla centralizzazione del potere tecnologico e rimodellando il futuro della rete.

La contesa per il controllo di internet, oggi

Da anni si discute su chi possegga davvero il web, un’infrastruttura che percepiamo come pubblica ma che, nei fatti, è governata da logiche profondamente privatistiche.

La quasi totalità delle nostre interazioni digitali, dalla ricerca di informazioni alla comunicazione con amici e colleghi, passa attraverso i server e gli algoritmi di un ristretto numero di aziende tecnologiche. Queste piattaforme non sono semplici intermediari neutrali, ma attori che modellano attivamente ciò che vediamo e con cui interagiamo, definendo le regole del gioco in base ai propri interessi commerciali.

È un’architettura centralizzata che ha permesso una crescita e una diffusione rapidissime dei servizi, ma che ha anche creato delle significative concentrazioni di potere.

Il modello è piuttosto semplice: in cambio di servizi apparentemente gratuiti, gli utenti cedono i propri dati, che diventano la materia prima per costruire profili dettagliati e vendere spazi pubblicitari ultra-mirati. Questo sistema, spesso descritto con l’espressione “giardini recintati” (walled gardens), ha generato un valore economico enorme per le aziende che lo controllano, ma ha anche sollevato questioni fondamentali sulla privacy, la sovranità dei dati e la libertà di espressione.

Come spiega Primavera De Filippi, ricercatrice del National Center of Scientific Research e membro della facoltà del Berkman Center di Harvard, «ciò che le persone vedono attualmente sul Web è ciò che i principali intermediari (Google, Twitter, Facebook, ecc.) decidono di esporre loro». Di fatto, essendo i proprietari dei contenuti caricati sulle loro piattaforme, sono gli unici a poter scegliere cosa mostrare e a chi.

Questo assetto, che ha dominato l’ultima decade di internet, non è però l’unico possibile.

Da tempo, una comunità di sviluppatori, accademici e attivisti lavora a un’alternativa radicale, un’idea di rete che prova a restituire il controllo agli utenti. Un’idea che per anni è rimasta confinata in ambienti di nicchia, ma che oggi, grazie alla maturazione di alcune tecnologie, sta diventando una proposta sempre più concreta.

Web3, o di come provare a riconquistare il web

Questa alternativa ha un nome: Web3.

È un termine che definisce una visione per la prossima evoluzione di internet, basata su un principio chiave: la decentralizzazione. A differenza del web attuale (il Web 2.0), dove dati e applicazioni risiedono su server centralizzati di proprietà di poche grandi aziende, il Web3 immagina una rete costruita su tecnologie peer-to-peer come la blockchain.

In un sistema del genere, non esiste un’autorità centrale che possa concedere o revocare l’accesso, censurare contenuti o sfruttare i dati degli utenti senza il loro consenso. L’obiettivo, in sostanza, è di passare da un internet posseduto dalle aziende a un internet posseduto dai suoi stessi utenti.

Le fondamenta tecnologiche di questa visione sono diverse, ma la più nota è senza dubbio la blockchain, la stessa tecnologia resa famosa dalle criptovalute come Bitcoin. La blockchain funziona come un registro digitale distribuito, immutabile e trasparente, in cui le transazioni e le informazioni possono essere registrate in modo sicuro senza bisogno di un’entità di controllo centrale.

Su questa base si fondano interessanti innovazioni in ambito di sviluppo delle app e non solo: ad esempio tali fondamenta permettono di costruire applicazioni decentralizzate (dApps) e “contratti intelligenti” (smart contracts), ovvero protocolli informatici che eseguono, controllano e documentano automaticamente eventi e azioni secondo i termini di un accordo.

– Leggi anche: La grande scommessa di Elon Musk: Grok 5 di xAI punta all’AGI sfidando OpenAI e Google

Come descritto in un approfondimento di Montague Law, questo crea un ambiente definito “trustless e permissionless”, dove la fiducia non è più riposta in un intermediario, ma nel codice stesso, e dove chiunque può partecipare senza chiedere il permesso a nessuno.

L’implicazione più profonda è un cambio di paradigma nella proprietà digitale. Nel Web3, grazie a strumenti come i token, gli utenti possono possedere realmente i loro asset digitali, che si tratti di un’identità online, di dati personali o di un’opera d’arte digitale.

Non si tratta più di avere un “profilo” concesso in licenza d’uso da una piattaforma, ma di detenere un bene digitale con un certificato di proprietà crittografico. È una promessa ambiziosa, che secondo i suoi sostenitori potrebbe ridefinire le dinamiche di potere online, sostituendo i monopoli con il commercio diretto tra pari.

Tuttavia, proprio mentre questa visione inizia a prendere forma, un’altra rivoluzione tecnologica sta rimescolando le carte in tavola, introducendo un elemento di complessità che nessuno aveva previsto fino a pochi anni fa.

L’intelligenza artificiale come variabile impazzita

L’ascesa rapidissima dell’intelligenza artificiale generativa ha cambiato le regole del gioco per ogni settore, e il futuro di internet non fa eccezione. La convergenza tra AI e Web3 è diventata uno degli argomenti più discussi tra gli addetti ai lavori, perché apre a possibilità tanto affascinanti quanto complesse.

Da un lato, l’AI potrebbe risolvere uno dei limiti delle attuali applicazioni decentralizzate: la mancanza di intelligenza e flessibilità. Un’applicazione Web3 arricchita da capacità di intelligenza artificiale potrebbe offrire esperienze utente più sofisticate, personalizzate e intuitive, accelerandone l’adozione su larga scala.

Secondo alcuni osservatori, questa fusione potrebbe creare un ecosistema internet più intelligente, equo e trasparente, in cui intelligenza e fiducia coesistono in modo sicuro.

D’altra parte, però, l’intelligenza artificiale introduce una tensione fortissima proprio sul tema della centralizzazione. I modelli di AI più potenti oggi disponibili sono sviluppati e controllati dalle stesse grandi aziende tecnologiche che dominano il Web 2.0. Addestrare questi modelli richiede enormi risorse computazionali e l’accesso a sterminati archivi di dati, barriere all’ingresso che favoriscono inevitabilmente chi è già in una posizione di dominio.

Questo solleva un dubbio fondamentale:

Che senso ha costruire un’infrastruttura decentralizzata se poi l’intelligenza che la anima rimane saldamente nelle mani di pochi?

Il rischio è quello di sostituire una forma di controllo con un’altra, forse ancora più pervasiva e difficile da comprendere per l’utente medio.

Questa domanda è il vero nodo strategico della prossima decade. La risposta non può essere la semplice adozione di modelli controllati da altri, ma, forse, lo sviluppo di intelligenze artificiali proprietarie, più allineate con i principi di trasparenza del Web3 e capaci di operare all’interno di un’infrastruttura realmente decentralizzata.

La questione se l’AI debba essere centralizzata o decentralizzata è diventata un dibattito cruciale. Le stesse multinazionali, consapevoli della posta in gioco, non sembrano avere una risposta univoca. In un articolo sul proprio blog, per esempio, Amazon Web Services suggerisce che la risposta giusta potrebbe essere “entrambe le cose”.

L’idea è quella di un approccio ibrido: centralizzare alcuni aspetti come la governance e la gestione unificata dei dati per garantire efficienza e sicurezza su larga scala, ma decentralizzare allo stesso tempo l’innovazione e lo sviluppo di applicazioni specifiche per permettere agilità e un migliore allineamento con le esigenze dei singoli team o comunità.

È una soluzione pragmatica, che cerca di bilanciare il bisogno di controllo tipico delle grandi organizzazioni con la promessa di apertura e innovazione dal basso del mondo decentralizzato. La contesa per il controllo di internet, insomma, non si è affatto conclusa; si è solo spostata su un terreno nuovo e molto più complesso.

Dalle parole al codice?

Informarsi è sempre il primo passo ma mettere in pratica ciò che si impara è quello che cambia davvero il gioco. Come software house crediamo che la tecnologia serva quando diventa concreta, funzionante, reale. Se pensi anche tu che sia il momento di passare dall’idea all’azione, unisciti a noi.

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