Marketing AI: La crescita degli investimenti si scontra con la crisi di fiducia dei consumatori

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Nonostante un mercato in forte espansione, la fiducia dei consumatori nell’intelligenza artificiale per la gestione dei dati personali diminuisce drasticamente, mettendo in discussione la sostenibilità delle strategie di marketing basate sugli algoritmi a causa delle crescenti preoccupazioni sulla privacy e la trasparenza.

Marketing AI: La crescita degli investimenti si scontra con la crisi di fiducia dei consumatori
[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Nonostante investimenti record, il marketing basato sull'AI affronta una crescente crisi di fiducia dei consumatori. La percezione di sorveglianza e le preoccupazioni per la privacy dei dati minacciano le strategie di personalizzazione. Le aziende sono a un bivio: innovare tecnologicamente o ricostruire un rapporto di fiducia, fondamentale per la sostenibilità futura del settore.

Il paradosso di un mercato in crescita e una fiducia in calo

Nonostante le preoccupazioni, il settore del marketing basato sull’intelligenza artificiale continua a espandersi a un ritmo impressionante. Il mercato ha raggiunto un valore di 47,32 miliardi di dollari nel 2025, partendo da 12,05 miliardi nel 2020, e le proiezioni indicano che potrebbe superare i 107,5 miliardi di dollari entro il 2028, con un tasso di crescita annuale composto del 36,6%.

Questi dati, descritti da SEO.com, testimoniano una fiducia quasi illimitata da parte delle aziende nelle potenzialità di queste tecnologie. La promessa è quella di ottimizzare ogni aspetto della comunicazione, dalla segmentazione del pubblico all’automazione delle campagne, riducendo i costi e aumentando i rendimenti.

Tuttavia, questa corsa all’innovazione si scontra con una realtà ben diversa dal punto di vista dei consumatori. La fiducia nella capacità dell’AI di gestire i dati personali è diminuita drasticamente, con il 63 per cento degli utenti a livello globale che oggi si dichiara diffidente, un aumento notevole rispetto al 44 per cento registrato nel 2024, come riportato da Toolhunt.io.

La situazione è ancora più marcata in alcuni mercati specifici, come il Regno Unito, dove il 76 per cento degli acquirenti esprime un forte disagio all’idea che le proprie informazioni personali siano gestite da sistemi automatizzati.

Questo scollamento tra l’entusiasmo del settore e la preoccupazione del pubblico crea un paradosso che mette in discussione la sostenibilità a lungo termine di queste strategie.

Questo paradosso si manifesta nel modo più evidente quando si analizzano le ragioni profonde di questa diffidenza, che affondano le radici in un tema diventato ormai centrale nel dibattito pubblico: la privacy.

La privacy come campo di battaglia

La crisi di fiducia non è un sentimento astratto, ma è legata a preoccupazioni molto concrete sulla privacy e sulla mancanza di trasparenza. Una ricerca approfondita pubblicata nel luglio del 2025 ha rivelato che il 59 per cento dei consumatori si sente a disagio all’idea che i propri dati personali vengano utilizzati per addestrare i sistemi di intelligenza artificiale, secondo quanto emerso da uno studio di Sapio Research per Usercentrics.

Il sentimento generale riflette la convinzione, condivisa dal 64 per cento dei consumatori a livello globale, che le aziende gestiscano i dati dei clienti in modo sconsiderato e poco attento. Queste ansie non rimangono confinate alle opinioni, ma si traducono in azioni concrete, con un numero crescente di persone che scelgono di “votare con il portafoglio” attraverso boicottaggi mirati o spostando le proprie preferenze di acquisto verso marchi percepiti come più etici, un fenomeno analizzato da Basis.com.

In questo contesto, emerge un altro paradosso: quello della personalizzazione.

L’idea di una “iper-personalizzazione” spinta dall’intelligenza artificiale, presentata dalle aziende come un servizio quasi sartoriale per il cliente, viene percepita da una fetta crescente di pubblico non tanto come un vantaggio, ma come una sorveglianza.

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Questa percezione negativa non dipende dalla tecnologia in sé, ma da come viene presentata all’utente. È la progettazione di interfacce e user experience a definire il confine tra un servizio utile e un’intrusione, costruendo la fiducia attraverso la trasparenza e il controllo.

Se da un lato le statistiche di settore, citate da Taboola, mostrano che il 92 per cento delle aziende utilizza già tecnologie di personalizzazione con rendimenti superiori del 202%, dall’altro il 24 per cento dei consumatori esprime preoccupazione. Il problema è che, mentre il 73 per cento dei dirigenti è convinto che l’AI ridefinirà le strategie di personalizzazione, il pubblico sembra chiedere qualcosa di diverso: non tanto un’offerta più mirata, quanto una maggiore comprensione delle proprie reali necessità.

La questione, quindi, non è solo tecnologica.

Riguarda un cambiamento più profondo nel modo in cui le persone interagiscono con le informazioni e costruiscono la propria fiducia verso i marchi.

Un cambiamento che va oltre la tecnologia

La crisi attuale va oltre le preoccupazioni per la privacy e tocca le fondamenta stesse del modo in cui i consumatori scoprono prodotti e servizi. Sebbene i motori di ricerca tradizionali siano ancora utilizzati dall’83 per cento delle persone, il panorama informativo si è estremamente frammentato.

I social media sono diventati un canale di scoperta per il 73 per cento degli utenti, le app di navigazione per il 58 per cento, e persino i siti di recensioni e gli strumenti di intelligenza artificiale come ChatGPT si contendono una fetta del 19 per cento ciascuno.

Questa frammentazione, come sottolineato in un’analisi di SOCi, sta rendendo obsolete le vecchie strategie di marketing basate su un percorso del cliente lineare e prevedibile.

Un esempio emblematico di questo cambiamento è rappresentato dalla Generazione Z. I consumatori più giovani tendono a muoversi tra una media di 3,6 piattaforme diverse prima di compiere anche un acquisto semplice, alla ricerca di esperienze autentiche e di conferme da parte di altre persone.

Non di raccomandazioni generate da un algoritmo.

Questa complessità del percorso d’acquisto evidenzia un punto cruciale: il momento della transazione deve essere impeccabile e trasmettere massima fiducia. Per un’azienda, questo significa investire nello sviluppo di un sito eCommerce che non sia solo una vetrina, ma il fulcro di un’esperienza cliente sicura e coerente.

Questa tendenza evidenzia una crescente domanda di validazione umana e di trasparenza, elementi che l’attuale implementazione dell’intelligenza artificiale nel marketing sembra spesso trascurare. La pressione non è solo culturale, ma anche normativa: l’AI Act dell’Unione Europea ha già costretto più di un terzo dei marketer britannici a rivedere le proprie strategie, spingendo il 44 per cento di loro a dichiarare di aver adottato un approccio più etico all’uso della tecnologia.

La sfida per le aziende non consiste semplicemente nell’adottare la tecnologia più avanzata, ma nel farlo in un modo che sia percepito come rispettoso, trasparente e genuinamente utile. La narrazione secondo cui una maggiore raccolta di dati porta inevitabilmente a una migliore esperienza per il cliente si sta rivelando insufficiente, se non controproducente.

Il dibattito si sposta quindi sulla necessità di un nuovo patto tra aziende e consumatori, in cui l’innovazione tecnologica non sia un fine in sé, ma uno strumento per costruire relazioni basate su una fiducia riconquistata.

La risoluzione di questa tensione determinerà quali marchi riusciranno a prosperare nell’ambiente di mercato dei prossimi anni.

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