Il problema non risiede nei limiti tecnologici o nelle risorse computazionali, ma nella difficoltà di Meta di trattenere i migliori talenti, che scelgono di tornare alla concorrenza o di intraprendere nuove avventure in startup.
[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Il progetto di Meta per la superintelligenza AI affronta un esodo di talenti chiave. Nonostante offerte record, Meta Superintelligence Labs perde ricercatori verso rivali come OpenAI o startup. Ciò solleva interrogativi sulla strategia aziendale e sulla cultura interna, suggerendo che le sole risorse non bastano a trattenere i migliori nella corsa all'AI generale di Mark Zuckerberg.
Una visione ambiziosa, una realtà complessa
L’idea alla base dei Superintelligence Labs è quella di unire le due principali divisioni di ricerca sull’IA di Meta, FAIR e GenAI, per accelerare lo sviluppo di un’intelligenza artificiale generale (AGI).
Per farlo, Zuckerberg ha messo a disposizione un budget quasi illimitato e ha autorizzato offerte milionarie per strappare i migliori ricercatori alla concorrenza. Questa strategia, tuttavia, sta generando tensioni interne non trascurabili.
Come descritto in un’analisi di Business Insider, la disparità di trattamento economico tra i nuovi arrivati, spesso assunti con pacchetti retributivi stratosferici, e il personale veterano, che ha contribuito per anni alla crescita della divisione IA, ha creato un clima di malcontento.
Questa frizione interna potrebbe essere una delle cause dietro alcune partenze significative.
Tra queste spiccano quelle di Avi Verma ed Ethan Knight, due ricercatori che dopo aver lasciato OpenAI per unirsi a Meta, hanno deciso di tornare sui propri passi nel giro di poche settimane, in alcuni casi ancor prima di iniziare ufficialmente il nuovo incarico.
Un dietrofront così rapido suggerisce che l’offerta economica, per quanto allettante, non sia l’unico fattore in gioco.
A questi si aggiunge la partenza di Chaya Nayak, una figura di lungo corso che per anni ha guidato gli sforzi di Meta sull’IA generativa e che ha scelto di passare proprio alla concorrente OpenAI. La sua uscita rappresenta la perdita di una conoscenza istituzionale difficilmente rimpiazzabile nel breve periodo.
Ma la dinamica di queste partenze non si limita a un semplice travaso di talenti tra giganti tecnologici.
C’è un altro tipo di attrazione, forse ancora più preoccupante per un colosso come Meta, che sta emergendo con forza.
Queste dinamiche dimostrano che la gestione del talento in un settore iper-competitivo è una sfida che non si può improvvisare. Per evitare squilibri e malcontento, è fondamentale strutturare i piani di crescita e retributivi con strumenti precisi, spesso affidandosi a un software per la gestione delle risorse umane che garantisca equità e visione d’insieme.
Il richiamo delle startup e il caso Agarwal
Forse l’esempio più emblematico di questa tendenza è la vicenda di Rishabh Agarwal, un brillante ricercatore indo-americano reclutato da Google DeepMind in persona da Mark Zuckerberg. Agarwal, con un curriculum di altissimo livello e un passato di successi in alcuni dei più prestigiosi istituti di ricerca al mondo, ha annunciato il suo addio a Meta dopo appena cinque mesi.
In un post sulla piattaforma X, ha lodato il talento e la potenza di calcolo di Meta, ma ha anche spiegato di sentire “il bisogno di assumersi un diverso tipo di rischio“, un rischio che evidentemente non riteneva di poter correre all’interno di una struttura così grande e consolidata.
La sua destinazione, Periodic Labs, una startup fondata da ex ricercatori di OpenAI e DeepMind, è illuminante. Non si tratta di un altro gigante tecnologico, ma di una realtà più piccola e agile, focalizzata sull’uso di modelli di intelligenza artificiale per la scoperta di nuovi materiali.
Come riportato da American Bazaar, la scelta di Agarwal indica che per molti dei migliori talenti del settore, la libertà di ricerca, la possibilità di avere un impatto diretto e la partecipazione a una missione più circoscritta e specifica possono risultare più attraenti delle immense risorse offerte da una multinazionale.
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Per Meta, questo rappresenta un problema strategico: come si può competere non solo con le offerte economiche dei rivali, ma anche con il fascino e l’agilità delle nuove startup che popolano il settore?
La risposta ufficiale dell’azienda tende a minimizzare il fenomeno. Un portavoce ha dichiarato che “un certo grado di logoramento è normale per qualsiasi organizzazione di queste dimensioni” e che, nel caso dei ricercatori tornati rapidamente a OpenAI, “durante un intenso processo di reclutamento, alcune persone possono decidere di rimanere nel loro attuale lavoro piuttosto che iniziarne uno nuovo. È normale”.
Eppure, la rapidità e la notorietà di queste uscite dipingono un quadro ben diverso da quello di una “normale” gestione del personale.
La cultura aziendale alla prova della superintelligenza
Il punto, forse, è proprio questo: la costruzione di un team capace di raggiungere un traguardo così ambizioso come la superintelligenza non è solo una questione di assemblare i migliori cervelli disponibili sul mercato. Richiede la creazione di una cultura coesa, di una visione condivisa e di un ambiente in cui la ricerca possa prosperare al di là delle semplici logiche di mercato.
La strategia di Meta, basata su un’iniezione massiccia di denaro, rischia di trascurare questi aspetti, trasformando la ricerca in una mera competizione salariale e generando più conflitti interni che sinergie.
Le partenze, come quella di Agarwal verso una startup o quelle di Verma e Knight di ritorno a OpenAI, suggeriscono che i ricercatori di punta non cercano solo risorse, ma anche un contesto lavorativo che sentono affine.
OpenAI, ad esempio, pur essendo ormai una realtà aziendale complessa, conserva ancora l’aura di un laboratorio di ricerca con una missione chiara, un fattore che continua a esercitare una forte attrazione.
Meta, al contrario, deve ancora dimostrare di poter offrire un ambiente altrettanto stimolante, al di là dei compensi faraonici.
L’instabilità ai vertici dei Superintelligence Labs, come evidenziato anche da The Decoder, è un campanello d’allarme che l’azienda non può permettersi di ignorare.
La corsa all’intelligenza artificiale generale non si vincerà solo con i miliardi di dollari investiti in hardware, ma con la capacità di costruire e, soprattutto, mantenere una squadra motivata e coesa.
Al momento, la grande scommessa di Mark Zuckerberg sembra aver trascurato che il fattore più imprevedibile e decisivo, anche nell’era della superintelligenza, rimane quello umano.