L’intesa tra OpenAI e Amazon Web Services segna una decisa svolta nella strategia dell’azienda e un potenziale punto di rottura con il suo alleato storico più importante, Microsoft

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
OpenAI ha siglato il 3 novembre 2025 un accordo strategico da 38 miliardi di dollari con Amazon Web Services (AWS), della durata di sette anni. Questa partnership pluriennale fornirà la potenza di calcolo essenziale per i modelli IA di nuova generazione. La mossa segna una svolta per OpenAI, diversificando le infrastrutture e riducendo la dipendenza da Microsoft, suo storico alleato.
L’architettura di un’alleanza miliardaria
L’intelligenza artificiale generativa, soprattutto ai livelli di complessità raggiunti dai modelli di OpenAI, ha una fame insaziabile di risorse computazionali. L’addestramento di un modello come GPT-5 o le sue future evoluzioni richiede una potenza di calcolo che solo una manciata di aziende al mondo può fornire.
L’accordo con Amazon Web Services va a soddisfare proprio questa esigenza, mettendo a disposizione di OpenAI un arsenale tecnologico di prim’ordine. Il cuore di questa operazione è l’accesso a centinaia di migliaia di chip specializzati, in particolare le avanzate GPU (Graphics Processing Unit) di Nvidia, diventate lo standard per l’elaborazione dei carichi di lavoro legati all’intelligenza artificiale.
Queste risorse saranno accessibili tramite l’infrastruttura di Amazon EC2 UltraServers, progettata specificamente per ottimizzare le prestazioni in questo campo.
La scalabilità dell’accordo è uno dei suoi aspetti più rilevanti. OpenAI non solo avrà accesso immediato a una parte di questa capacità (“parte di questa capacità è già disponibile e OpenAI la sta utilizzando”, ha dichiarato a CNBC Dave Brown, vicepresidente di AWS) ma potrà espandere progressivamente il suo utilizzo, con l’obiettivo di raggiungere la piena operatività entro la fine del 2026.
Questa pianificazione a lungo termine è indicativa delle ambizioni di OpenAI, che non si limita a consolidare i prodotti esistenti, ma sta già lavorando a modelli ancora più potenti e complessi, che richiederanno livelli di calcolo oggi difficilmente immaginabili.
L’infrastruttura di AWS sarà utilizzata sia per la fase di “inferenza”, ovvero l’esecuzione delle richieste degli utenti su servizi come ChatGPT, sia per la fase di “addestramento”, il processo estremamente oneroso con cui i modelli imparano dai dati.
Una mossa di questa portata, tuttavia, produce effetti che vanno ben oltre i data center e le specifiche tecniche dei processori.
Le conseguenze sul mercato e i dubbi sul futuro
La reazione dei mercati finanziari non si è fatta attendere, premiando soprattutto Amazon. Subito dopo l’annuncio, le azioni della società di Jeff Bezos hanno registrato un aumento del 6%, a testimonianza di come gli investitori abbiano interpretato l’accordo come una vittoria strategica per AWS, che si assicura come cliente di punta l’azienda simbolo della rivoluzione dell’intelligenza artificiale.
Diversi gruppi bancari, da HSBC a Stifel, hanno rivisto al rialzo il target di prezzo per le azioni di Amazon, confermando la percezione di un affare estremamente vantaggioso.
Per OpenAI, invece, questa mossa si inserisce in un percorso più ampio che, secondo molti osservatori, potrebbe condurla a una quotazione in Borsa, ipotizzata per il 2027. Stringere accordi miliardari con i giganti della tecnologia non solo le garantisce le risorse necessarie per operare, ma ne consolida anche il valore e la credibilità agli occhi del mondo finanziario.
Tuttavia, dietro le cifre e l’entusiasmo degli investitori, l’accordo solleva interrogativi più profondi sulla sostenibilità e sulla direzione che sta prendendo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Una spesa di 38 miliardi di dollari in sette anni per la sola infrastruttura di calcolo è una cifra che poche, se non pochissime, entità al mondo possono permettersi.
– Leggi anche: eBay e OpenAI rivoluzionano il commercio agentico: il futuro degli acquisti online
Questo alimenta il dubbio che la corsa all’IA stia diventando sempre più una questione di forza economica bruta piuttosto che di pura innovazione algoritmica, magari attraverso nuovi sistemi di machine learning.
La capacità di raccogliere e spendere capitali immensi rischia di diventare il principale fattore di successo, marginalizzando startup e centri di ricerca indipendenti che non hanno accesso a tali risorse. Si consolida così un oligopolio in cui un ristretto numero di aziende tecnologiche detiene non solo i modelli più avanzati, ma anche le infrastrutture indispensabili per crearli.
Questa concentrazione del potere tecnologico non significa, però, che l’innovazione sia preclusa alle aziende al di fuori dei colossi tech. Al contrario, per rimanere competitive è cruciale sfruttare queste tecnologie in modo mirato, attraverso lo sviluppo di intelligenze artificiali su misura che adatti la potenza dei modelli alle specifiche esigenze di business.
In questo quadro, l’accordo tra OpenAI e Amazon non è solo la notizia di una partnership commerciale, ma diventa il simbolo di una nuova fase, in cui la competizione per il dominio dell’intelligenza artificiale si combatte sempre più sul piano delle infrastrutture e dei capitali.
Resta da vedere se questa concentrazione di potere e risorse accelererà il progresso a beneficio di tutti, come sostiene Sam Altman, o se finirà per creare barriere all’ingresso ancora più alte in un settore che sta già cambiando il mondo.



