Si tratta del più grande accordo nella storia del cloud computing, un impegno che solleva dubbi sulla sostenibilità finanziaria di OpenAI e ridefinisce gli equilibri di potere e la dipendenza dai partner storici nella Silicon Valley.

[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
OpenAI e Oracle hanno siglato un accordo da 300 miliardi di dollari per infrastrutture cloud AI. L'impegno quinquennale, parte del "Project Stargate", fornirà potenza di calcolo per i futuri modelli. L'operazione solleva interrogativi sulla sostenibilità finanziaria di OpenAI, consolidando Oracle nel settore e mostrando una strategia di indipendenza da Microsoft.
Le dimensioni di un accordo senza precedenti
L’intesa tra OpenAI e Oracle prevede che, a partire dal 2027, la prima paghi alla seconda circa 60 miliardi di dollari all’anno per cinque anni. In cambio, Oracle fornirà una capacità di calcolo pari a circa 4,5 gigawatt, una quantità di energia sufficiente ad alimentare milioni di abitazioni.
Questo enorme potenziale servirà a supportare le prossime generazioni di modelli di intelligenza artificiale, che richiedono una potenza computazionale sempre maggiore per essere addestrati e utilizzati. L’accordo è stato il principale motore di una trimestrale eccezionale per Oracle, le cui azioni sono cresciute di oltre il 40% dopo l’annuncio, portando il suo presidente, Larry Ellison, a superare brevemente Elon Musk nella classifica delle persone più ricche del mondo.
La reazione entusiasta dei mercati finanziari, tuttavia, racconta solo una parte della storia. L’accordo formalizza il quadro economico di Project Stargate, un’iniziativa da 500 miliardi di dollari che coinvolge, oltre a OpenAI e Oracle, anche il conglomerato giapponese SoftBank e il governo degli Stati Uniti.
L’obiettivo è creare una rete di data center domestici per garantire al paese un’autonomia strategica nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. L’investimento non riguarda solo l’acquisto di processori e server, ma anche la costruzione delle infrastrutture fisiche necessarie per ospitarli e alimentarli, comprese centrali elettriche dedicate.
L’entità dell’operazione è tale da rendere evidente come la corsa allo sviluppo dell’intelligenza artificiale si stia trasformando in una competizione basata non solo sul software e sugli algoritmi, ma soprattutto sulla disponibilità di capitali e infrastrutture fisiche.
L’annuncio ha di fatto consacrato Oracle come uno dei principali fornitori di infrastrutture per l’intelligenza artificiale, mettendola in diretta competizione con i leader del settore come Amazon Web Services, Microsoft Azure e Google Cloud. Per un’azienda che per decenni è stata associata principalmente a software per database e applicazioni aziendali, si tratta di una trasformazione notevole e di un successo strategico.
Ma se per Oracle l’accordo rappresenta una vittoria indiscutibile, per OpenAI la situazione appare molto più complessa e ricca di incognite.
I dubbi sulla sostenibilità finanziaria di OpenAI
La domanda che molti analisti e osservatori si stanno ponendo è piuttosto diretta:
come farà OpenAI a pagare una cifra simile?
I 300 miliardi di dollari dell’accordo rappresentano quasi 24 volte i ricavi annuali previsti per l’azienda quest’anno, che si aggirano intorno ai 13 miliardi di dollari. Per di più, nonostante la popolarità dei suoi servizi, OpenAI non è ancora un’azienda redditizia e non lo sarà almeno fino al 2029. Impegnarsi a spendere 60 miliardi di dollari all’anno, una cifra cinque volte superiore ai propri ricavi attuali, sembra un azzardo finanziario di proporzioni enormi.
Questa apparente sproporzione ha alimentato speculazioni su come verrà finanziata l’operazione. È probabile che una parte significativa dei fondi provenga da investitori esterni, come SoftBank, che si è già impegnata a contribuire con quasi 20 miliardi di dollari a Project Stargate. OpenAI potrebbe anche ricorrere a nuovi e massicci round di finanziamento o a forme di indebitamento, scommettendo che la crescita futura del mercato dell’intelligenza artificiale giustificherà un investimento così ingente.
Il rischio è che OpenAI si trovi legata a un impegno finanziario insostenibile, basato su proiezioni di crescita molto ottimistiche e su un mercato ancora in fase di assestamento.
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Il punto centrale è che questo accordo segna un cambiamento di paradigma.
Finora, le aziende che sviluppavano AI si affidavano ai servizi cloud con un modello “pay-as-you-go”, pagando cioè solo per le risorse effettivamente utilizzate. OpenAI sta invece scegliendo un contratto a lungo termine che garantisce l’accesso a una capacità di calcolo predefinita, ma a un costo fisso ed estremamente elevato.
È una strategia che mira a garantirsi le risorse necessarie per non rimanere indietro nella competizione, ma che la espone a rischi considerevoli. Se la domanda per i suoi servizi non dovesse crescere come previsto, o se emergessero tecnologie più efficienti e meno costose, l’azienda si ritroverebbe a pagare per un’infrastruttura sovradimensionata o già superata.
Una scommessa che, se persa, potrebbe avere conseguenze molto serie non solo per OpenAI, ma per l’intero settore.
Una strategia di indipendenza da Microsoft
Al di là delle questioni finanziarie, l’accordo con Oracle è significativo perché rivela un profondo cambiamento nella strategia di OpenAI e nei suoi rapporti con il suo partner storico, Microsoft.
Fin dalla sua fondazione, OpenAI ha avuto un legame quasi esclusivo con l’azienda di Redmond, che ha investito oltre 13 miliardi di dollari nel suo sviluppo e le ha fornito la potenza di calcolo della sua piattaforma cloud, Azure.
Per anni, OpenAI e Microsoft sono state viste come un’alleanza inscindibile, al punto che molti consideravano la prima quasi come una divisione di ricerca e sviluppo della seconda.
Negli ultimi mesi, però, questo rapporto ha iniziato a mostrare qualche crepa. OpenAI ha cominciato a diversificare i propri fornitori di cloud, stringendo accordi anche con Google, un diretto concorrente di Microsoft.
La partnership con Oracle rappresenta il passo più deciso in questa direzione.
Scegliendo di legarsi a un altro gigante del cloud per il suo progetto più ambizioso, OpenAI sta inviando un messaggio chiaro: intende ridurre la sua dipendenza da Microsoft e garantirsi una maggiore autonomia strategica.
Questa mossa, come descritto da TechCrunch, le consente di non mettere tutte le sue risorse nelle mani di un unico fornitore, che è anche un potenziale concorrente nello sviluppo di applicazioni di intelligenza artificiale.
Questa ricerca di indipendenza si inserisce in una tendenza più ampia che vede le principali aziende di intelligenza artificiale cercare di costruire e controllare le proprie infrastrutture, piuttosto che affidarsi interamente a terzi.
È una strategia costosa e complessa, ma che offre un vantaggio competitivo fondamentale: il controllo diretto sulle risorse di calcolo, che sono diventate il fattore produttivo più importante nell’economia dell’intelligenza artificiale.
L’accordo tra OpenAI e Oracle, con tutte le sue incognite, è forse la manifestazione più evidente di questa nuova realtà nella quale assicurarsi una fornitura stabile e a lungo termine di risorse di calcolo è diventato un imperativo strategico.
È la prova che la corsa all’intelligenza artificiale generale non si vince solo con algoritmi più intelligenti, ma anche e soprattutto con fondamenta di silicio, cavi e cemento più grandi e solide di quelle di chiunque altro.
 
         
         
         
        


