Ogni anno, la selezione dei ceppi virali per il vaccino antinfluenzale è una complessa previsione che non sempre si rivela accurata, influenzando direttamente la protezione della popolazione.
[In pillole] La sintesi per chi va di fretta:
Il MIT ha sviluppato VaxSeer, un'intelligenza artificiale che promette di rivoluzionare la selezione dei ceppi virali per il vaccino antinfluenzale. Analizzando le ultime dieci stagioni, VaxSeer ha superato le scelte dell'OMS in nove casi su dieci, proponendo combinazioni più efficaci. Questo strumento predittivo offre un significativo miglioramento rispetto al metodo attuale, sebbene sollevi interrogativi su governance e responsabilità future.
Una scommessa che non sempre si vince
Per capire la portata di questa innovazione, è necessario fare un passo indietro e osservare come funziona oggi il processo di selezione dei vaccini antinfluenzali. Due volte l’anno, a febbraio per l’emisfero settentrionale e a settembre per quello meridionale, un comitato di esperti dell’OMS si riunisce per analizzare i dati provenienti dal Global Influenza Surveillance and Response System (GISRS), una rete di oltre 150 laboratori in tutto il mondo.
Questi centri raccolgono e analizzano migliaia di campioni di virus influenzali prelevati da pazienti, tracciandone la diffusione geografica e le mutazioni genetiche. Il virus dell’influenza, infatti, è un bersaglio mobile: muta costantemente attraverso un processo noto come “deriva antigenica” (o antigenic drift), che gli permette di eludere le difese immunitarie sviluppate dalla popolazione.
Il comitato dell’OMS deve quindi identificare quali, tra le centinaia di varianti in circolazione, hanno maggiori probabilità di diventare dominanti nella stagione a venire. È una decisione che va presa con largo anticipo perché la produzione di centinaia di milioni di dosi di vaccino richiede mesi.
Questo lungo intervallo di tempo è il vero tallone d’Achille del sistema attuale.
Il virus, nel frattempo, non smette di evolversi e può accadere che i ceppi più promettenti a febbraio non siano più quelli prevalenti in autunno, portando a un cosiddetto mismatch vaccinale e a un’efficacia ridotta. Questo complesso e incerto processo, tuttavia, potrebbe presto essere affiancato, se non trasformato, da un approccio radicalmente diverso.
Questo sfasamento temporale tra la previsione e la disponibilità del prodotto non è un problema astratto, ma una sfida di produzione fisica. L’efficienza, la conformità e la velocità di una catena di montaggio farmaceutica così complessa sono, perciò, spesso governate da Sistemi di Esecuzione della Produzione (MES), software che orchestrano le operazioni in tempo reale direttamente in fabbrica, trasformando la decisione in dosi concrete.
Come funziona la ‘sfera di cristallo’ del MIT
VaxSeer non si limita ad analizzare i dati attuali, ma impara da decenni di evoluzione virale. I ricercatori del MIT lo hanno addestrato utilizzando un’enorme quantità di informazioni, che includono le sequenze genetiche dei virus influenzali raccolte nel corso degli anni e i risultati dei test di laboratorio che misurano la reazione degli anticorpi ai diversi ceppi.
Come descritto in un comunicato ufficiale del MIT, il sistema funziona grazie a due “motori” di intelligenza artificiale che lavorano in sinergia. Il primo motore analizza le caratteristiche del virus, come le sue mutazioni e la sua capacità di sfuggire al sistema immunitario, per prevedere quale ceppo ha le maggiori probabilità di diventare dominante. Il secondo motore, invece, simula la risposta immunitaria umana a un potenziale vaccino, prevedendo quanto sarebbe efficace contro le varianti future del virus.
In pratica, VaxSeer è in grado di creare migliaia di “esperimenti virtuali” in cui testa diverse combinazioni di ceppi vaccinali contro le possibili evoluzioni future del virus, selezionando alla fine quella che offre la protezione più ampia e robusta. Questo approccio integrato è ciò che lo distingue: non si limita a prevedere quale virus si diffonderà, ma stima anche quale vaccino funzionerà meglio.
“Combinando l’intelligenza artificiale con modelli di biosimulazione che predicono la risposta immunitaria umana, abbiamo creato uno strumento che può aiutare i decisori a selezionare in modo affidabile i migliori ceppi influenzali per il vaccino stagionale”, ha spiegato Ankit Gupta, uno degli autori principali della ricerca.
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La sua capacità di superare le scelte dell’OMS in nove casi su dieci in uno studio retrospettivo suggerisce che la sua “vista” sul futuro del virus è notevolmente più acuta di quella umana.
Ma un algoritmo, per quanto sofisticato, può davvero sostituire decenni di esperienza umana e collaborazione globale?
E, soprattutto, di chi sarebbe la responsabilità se la previsione si rivelasse sbagliata?
Un futuro di vaccini predittivi, tra promesse e cautele
Il risultato ottenuto da VaxSeer è senza dubbio notevole, ma è fondamentale sottolineare che si tratta di un’analisi retrospettiva. Prevedere il passato con i dati a disposizione è un esercizio molto diverso dal prevedere il futuro in tempo reale. Tuttavia, la solidità del modello apre la porta a questioni tanto affascinanti quanto complesse.
La prima riguarda la governance di una tecnologia simile.
Se VaxSeer, o un sistema analogo, si dimostrasse costantemente superiore, chi lo gestirebbe? Rimarrebbe uno strumento accademico open-source a disposizione di enti come l’OMS, oppure verrebbe commercializzato da una startup nata in seno al MIT e venduto alle grandi aziende farmaceutiche che producono i vaccini?
Quest’ultima ipotesi solleva interrogativi non banali sulla trasparenza e sull’equità. Un algoritmo proprietario, il cui funzionamento interno non è del tutto pubblico, potrebbe diventare il nuovo arbitro della salute globale, con decisioni che influenzano miliardi di dollari di fatturato e la vita di intere popolazioni.
Inoltre, c’è la questione della fiducia e della responsabilità. I comitati di esperti dell’OMS sono composti da persone, con nomi e cognomi, che si assumono la responsabilità delle loro raccomandazioni.
Se la decisione venisse affidata o pesantemente influenzata da un’intelligenza artificiale, chi ne risponderebbe in caso di fallimento?
L’istituto di ricerca che l’ha sviluppata, l’azienda che la commercializza, o l’ente pubblico che ha deciso di fidarsi del suo responso?
Queste non sono domande banali, specialmente in un’epoca di crescente scetticismo verso la scienza e le istituzioni sanitarie.
I ricercatori stessi sono consapevoli dei limiti attuali: VaxSeer, per ora, si concentra solo sulla proteina emoagglutinina e dovrà essere ampliato per includere altri componenti del virus. Eppure, la strada sembra tracciata.
Strumenti come questo non sostituiranno probabilmente gli esperti nel breve termine, ma potrebbero diventare un potentissimo supporto decisionale, una sorta di “seconda opinione” quantitativa e incredibilmente rapida.
Indipendentemente da chi gestirà l’algoritmo, la sua previsione è solo l’input di una complessa operazione di supply chain globale. Tradurre quella singola informazione in milioni di dosi distribuite nei tempi corretti richiederà un sistema nervoso centrale che gestisca tutto, dall’approvvigionamento delle materie prime alla logistica, un ruolo svolto al livello aziendale dai Sistemi per la Pianificazione delle Risorse d’Impresa (ERP), la spina dorsale operativa che permette a un’intera organizzazione di muoversi in modo coordinato.
Insomma, alla fine dei conti l’era in cui la lotta contro i virus si basava solo sull’osservazione e l’esperienza umana potrebbe essere agli sgoccioli, per lasciare il posto a una collaborazione inedita tra l’intelligenza biologica e quella artificiale.